Start-up Weekend: un nuovo inizio

Start-up Weekend: un nuovo inizio

di Carlotta Maggi
Tempo di lettura: 3 minuti

Start-up Weekend: un nuovo inizio

Abbiamo trascorso l’ultimo anno interagendo con gli altri tramite uno schermo, tra call dell’ultimo momento e gruppi Whatsapp che si riempivano senza sosta di messaggi, sembrava lontanissima la fine di quel tunnel che ci avrebbe permesso di tornare a passare del tempo insieme.

Eppure, quella fine sembra essere sempre più vicina e sicuramente il merito è dello “Startup Weekend Food Sustainability Parma”, l’evento organizzato dal Comune di Parma e Officine ON/OFF in collaborazione con Spazio Area S3 Parma di ART-ER, tenutosi il 15,16 e 17 ottobre al Laboratorio Aperto di Parma.

Start-up Weekend: un nuovo inizio
Fonte: Oikosmos

Start-up Weekend: un nuovo inizio

L’evento, svoltosi nell’arco di 54 ore, ha visto la partecipazione di giovani, e non solo, accomunati dalla stessa passione: progettare e sviluppare soluzioni innovative a supporto del food sustainability; passione che ha avuto modo di crescere ed essere implementata grazie allo sviluppo delle loro idee sotto la guida di appositi mentor, specialisti del settore.

Ma quale sarà stato il ruolo di Oikosmos in questo evento?

È tornato anche per noi il momento di ricominciare a lavorare in presenza, di prendere parte agli eventi, di mostrare al mondo i volti dietro questa grande famiglia piena di idee in movimento.

Grazie alla partnership con Officine ON/OFF abbiamo avuto il piacere di presenziare a questo evento in qualità di media partner, ricominciando a fare una delle attività che ha da sempre contraddistinto la nostra associazione dalle altre: le nostre famose interviste!

Durante la giornata di sabato 15 ottobre ci siamo stati anche noi al Laboratorio Aperto, muniti di videocamere, fotocamera, computers, e il nostro inconfondibile stand, sfondo di tutte le brevi e preziose chiacchierate che abbiamo svolto con i mentors dell’evento, ma non solo!

Start-up Weekend: un nuovo inizio
Fonte: Oikosmos

Le emozioni sono state tante, dall’eccitazione dell’evento fino all’ansia da prestazione per le interviste da svolgere, ma quello che ci ha lasciato questa giornata supera le giornate passate fino a notte tarda a prepararci per questo evento.

Dall’economia, fino alla rilevanza dell’educazione alimentare, passando per l’importanza dell’innamorarsi dei problemi e del confronto, molteplici sono stati gli spunti di riflessione che ci hanno dato i mentors incontrati durante la giornata.

C’è una soluzione per ogni problema, ma non un problema per ogni soluzione”: così ci afferma Nadia Paleari, Brand and Business Growth Consultant, un mantra da tenere sempre in mente quando si vuole mettere piede in questo mondo che poggia sull’innovazione e sull’incertezza.

Come Nadia Paleari, anche Nicola Fiorentini, Innovation Manager & Co-Founder GrowthLabb, Elena Galli, Innovation Strategist, Business Designer, StartUp Advisor, e Patrizia Masino, Marketing Manager di Gruppo Infor, ci hanno insegnato come sia importante sperimentare nell’ambito delle startup, bisogna sempre avere le “antenne” in modalità ricettiva, come anche sbagliare, non aver timore di imparare dai propri errori e, soprattutto, non smettere mai di farsi domande.

Se è vero, però, che bisogna passare molto del proprio tempo come “Il Pensatore” di Auguste Rodin, è anche vero che un ruolo determinante lo svolge la comunicazione, come ci ricorda Federica Pasini, Head of Community at Altruistic, Forbes Under30, Co-Founder Hacking Talents; Nicola Giacchè, Social Media Strategist BPR, Digital Research& Insight, ci ha fatto riflettere su come sia importante trovare delle soluzioni alternative alla manifestazione dei bisogni, perché è vero che servono i soldi per creare una Startup, ma senza un’idea brillante non si ha futuro, come ci ricorda Alessandro Pirani, Professional Sensemaker.

Le Startup sono delle aziende in fase primordiale e la presenza di mentor specializzati nell’ambito economico, come Pierluigi Marchini, Professore dell’Università di Parma, Aldo Musci, Technical Director Gruppo Infor, Andrea Tommei, Consulente per la mobilità sostenibile, Luca Piccinno, Responsabile Spazio Area S3 Piacenza per ART-ER, Giuseppe Salvatore Paladino, CEO & Founder Peperoncineria Paladino SRL, ha permesso ai partecipanti di arricchire le loro competenze in questo ambito, capendo quanto sia necessario mettersi nei panni del potenziale consumatore per comprendere quale sia il bisogno che si andrà a soddisfare, accompagnato dai giusti investimenti in innovazione e alla redazione di un corretto business model.

Un elemento interessante di questo evento è sicuramente il centro di interesse delle Startup che vi hanno partecipato, ossia il Food, tema la cui importanza sta crescendo a livelli esponenziali, dimostrando anche come la popolazione attuale non sappia condurre degli stili di vita corretti, riservando nei bambini le speranze per una educazione alimentare migliore, come ci ha insegnato “MaDeGus” di Valentina Monteverdi, Project Leader MaDeGus.

Parlando di cibo viene spontaneo ricollegarsi al tema della sostenibilità, perché, come ci ha detto Domenico Polimeno, Digital Transformation Manager per Unindustria Reggio Emilia:

É sempre più importante considerare l’esistenza dell’ambiente e dell’ecosistema per capire l’impatto sui diversi stili di vita.”

Ma non finisce qui, perché abbiamo avuto modo di approcciarci anche con altri punti di vista: Rossella Lombardozzi, organizzatrice dell’evento, e Gianpaolo Masciari, facilitatore, si sono prestati per farsi sottoporre alle nostre domande, regalandoci delle visioni sul mondo che ci aspetta che hanno avuto modo di scaldarci il cuore.

I giovani devono acquisire la consapevolezza di potersi riunire, discutere delle proprie idee, conoscere e condividere mission diverse.”- Gianpaolo Masciari

Tra mentors, organizzatori e partecipanti, ci sono venuti a trovare anche due ex members di Oikosmos, Marco D’Angelo, Chief Officer Vertical Srl, Staff StartUp Weekend & Board Member Officine ON/OFF e Ismaele Marzano, Founder Vertical, che ci hanno sottolineato l’importanza per noi ragazzi universitari di avere modo di sfogarci, portandoci fuori dall’Università, senza dimenticare di avere grinta e sensibilità, proprio come le Startup!

Le startup ci permetteranno di entrare nel futuro”: ci piace concludere con questo pensiero di Giorgio Ciron, Forbes under 30 e Director InnovUP, inserito tra gli Under 30 del futuro dalla rivista “Forbes”, per ricordarci che per avere un futuro migliore bisogna investirci, e nel farlo la strada non sarà sempre liscia, ci saranno tante salite, tante curve e anche qualche buca da cui sarà  difficile uscire, senza però dimenticarsi che l’arrivo sarà la ricompensa di tutti i sacrifici fatti.

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Dal marketing culturale ai tour virtuali: un viaggio nell'arte.

di Laura Marina Popa
Tempo di lettura: 4 minuti

Musei online e tour virtuali

“Appena questa pandemia terminerà sono convinto ci sarà ci sarà una ripartenza dei consumi culturali molto forte. Lo abbiamo visto già con i libri. Lo vedremo in tutti i settori del consumo culturale. La gente avrà voglia di vivere la bellezza, di consumare cultura e visitare l'Italia”.

Le parole del ministro dei beni culturali e turismo, Dario Franceschini.

Le aziende culturali durante la pandemia hanno subito un duro colpo (il 70% stima perdite del 40%), ma anche prima questo settore non se la stava passando bene. Infatti, i dati di Federculture affermano che nel momento in cui è arrivata la crisi già erano in essere tendenze non positive. Soprattutto a causa di una significativa riduzione delle risorse pubbliche per il settore culturale (da parte delle amministrazioni territoriali – Regioni, Province e Comuni). 

I cittadini che visitano musei sono cresciuti del 21,5% in venti anni e del 7% dal 2010 ad oggi, così come quelli che frequentano siti archeologici e monumenti segnano un +36,8% tra 2001 e 2019, +19,7% negli ultimi dieci anni. Un trend che può essere spiegato con l'intensa attività normativa e riformatrice che ha riguardato il settore museale ed il patrimonio culturale.

Il marketing culturale

Dopo questo breve excursus sulla situazione delle aziende creative oggi, è doveroso focalizzarsi sulle strategie di marketing di queste ultime.

Le strutture museali nascono con una funzione ben precisa: conservare il patrimonio culturale e storico perché possa diventare patrimonio di tutti. 

Ma perché la cultura possa diventare di tutti deve essere accessibile a tutti e soprattutto appetibile. Un museo per poter richiamare a sé visitatori deve essere in grado di comunicare in maniera efficace la propria offerta, suscitando interesse. Il marketing di un museo ha come scopo quello di avvicinare l’offerta ai desideri dei propri clienti, in questo caso alle esigenze culturali dei potenziali visitatori.  

Nascono quindi iniziative di coinvolgimento e volte alla fruizione dei contenuti da parte degli utenti. Per una visita di qualità l’allestimento deve essere studiato appositamente per il tipo di opere che ne faranno parte. L’attenzione primaria è quindi quella di rispettare storicità e significato culturale di quanto si espone, concependo un allestimento coerente ed efficace. Una volta fatto questo è necessario intervenire con strategie di marketing museale più mirate.

Le nuove tecnologie possono venire in soccorso di allestitori e direttori di musei con lo scopo di valorizzare la visita trasformandola in vera e propria esperienza. Come? Le alternative disponibili sono davvero tante:

  • percorsi interattivi,
  • contenuti personalizzati e targettizzati a seconda dell’audience di riferimento,
  • tour guidati,
  • materiale video e fotografico supplementare
  • contenuti fruibili dai bambini, per avvicinare anche loro al mondo dell’arte o della storia, oppure per persone con deficit visivi, in modo tale che possano godere anche loro del patrimonio esposto
  • utilizzo degli smartphone degli utenti per veicolare contenuti e informazioni

Quello che conta è lavorare in modo sinergico per arrivare a soddisfare maggiormente le necessità del visitatore che oggigiorno è incline alle tecnologie digital e soprattutto abituato a visitare un museo personalmente.

Il museo in uno smartphone

La tecnologia Beacon (nuovo trend che riguarda la convergenza tra l’intrattenimento e la formazione) è basata sul bluetooth e consente ai dispositivi di trasmettere e ricevere messaggi entro brevi distanze proprio attraverso il bluetooth.

Le possibilità di utilizzo dei beacon sono innumerevoli, proprio per questa ragione si è pensato di applicarla anche nei musei, in modo tale da permettere ai visitatori un rapporto più coinvolgente con le opere d’arte.

Una volta installati i beacon accanto ad un quadro o ad altre opere d’arte all’interno del museo, questi da subito cominceranno a fornire descrizioni, cataloghi, audioguide e anche quiz ai visitatori attraverso i loro smartphone e tablet. Ai visitatori verrà richiesto di installare un’applicazione sui loro smartphone per rendere loro disponibili nuovi contenuti multimediali.

Proprio grazie alle app scaricate dagli utenti, questi potranno godere delle collezioni del museo e dell’esperienza che questo offre loro anche da casa, riuscendo così a proseguire la visita anche al di fuori delle mura fisiche del museo.

Musei online e tour virtuali
Fonte: pinterest.it

I musei e i social media

I social media si sono evoluti insieme alle aziende, offrendo la possibilità di creare campagne pubblicitarie con vantaggi sul piano comunicativo, sulla tempistica e avendo la possibilità di raggiungere velocemente il target desiderato e tutto il pubblico presente nel social.

Uno dei vantaggi che i social media offrono ai musei è quello di integrare e svolgere in parallelo alle strategie di promozione indifferenziate e rivolte all’intera audience, l’utilizzo di azioni mirate al fine di incentivare la partecipazione ad una determinata iniziativa promossa dallo stesso. 

Il museo deve trovare la chiave per comunicare con il target tramite questo strumento, attentamente pianificato e con la previsione degli obiettivi da raggiungere, evitando soprattutto di sommergere gli utenti di pubblicità.

I musei e il web sono considerati due media, due strumenti di comunicazione. I social media danno la possibilità di creare campagne informative, puntando sulla immediata ricezione da parte dei consumatori e permettendo di raggiungere in tempi rapidi il pubblico.

Il museo deve essere in grado di accogliere e rispondere tempestivamente e richieste di informazioni e a eventuali critiche dei visitatori, riuscendo a coniugare la semplicità e l’immediatezza tipiche dei social media con l’autorevolezza dell’istituzione

Nell’ambito del marketing culturale e con particolare riferimento ai musei, diffondere e promuovere le loro diverse iniziative non comporta un beneficio soltanto in termini di maggiori introiti ma bensì anche in una netta rivalutazione dell’immagine del territorio che ospita il museo. Tutto questo va di pari passo con la capacità di cogliere e stimolare l’interesse dei cittadini, aumentandone il consenso e l’attenzione. Una politica promotrice di cultura che sia capace di allargare gli orizzonti del pubblico rendere più tangibile il contenuto del patrimonio artistico.

Le strategie digitali dei musei Musei online e tour virtuali

I social media stanno trasformando il modo in cui le persone interagiscono, prendono decisioni nella vita quotidiana e ricevono informazioni. Dunque i musei stanno tentando approcci differenti per utilizzare questi media al fine di migliorare le pratiche di marketing e di comunicazione

Sviluppare una strategia digitale sui canali social permette di integrare e sviluppare azioni parallele e complementari rispetto alla strategia marketing del museo, ma anche di agire in velocità con azioni di pubblicitarie per un evento. Una strategia di SMM serve per creare una community web in grado (potenzialmente) di essere una community reale, da portare al museo. I social media per il museo sono strumenti efficaci di direct marketing. 

“Le istituzioni culturali si trovano oggi di fronte a una doppia sfida: non basta attrarre visitatori, ma occorre trovare il modo per comunicare il proprio patrimonio in un modo nuovo, che lo renda più prossimo alle esigenze di conoscenza ed esperienza di cittadini e turisti. Molte istituzioni hanno raccolto la sfida di trasformarsi per divenire più efficienti e parlare a nuovi e vecchi pubblici. L’innovazione digitale, che ha determinato un radicale cambiamento dei paradigmi di mercato negli ultimi anni, potrebbe ora rappresentare un fondamentale fattore di trasformazione per il settore culturale

Michela Arnaboldi, Direttore Scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali

A seguito della pandemia in cui ci troviamo le innovazioni all'interno dell'ambito museale non sono mancate. Infatti, è raddoppiata attività sui social (il 76% ha almeno un account) e crescono i follower.
La sfida ora sarà saper coniugare esperienza dal vivo e online, ma solo un museo su quattro (24%) ha un piano strategico per l’innovazione digitale.

Una lista dei musei che sui social al momento stanno spaccando: Musei online e tour virtuali

E tanti altri!

E qui potete trovare una pagina Instagram interamente dedicata ai musei italiani.

Musei e tour virtuali 

Procedendo in orizzontale su questo tema è doveroso anche trattare dei musei virtuali.

Il museo virtuale è un’entità digitale che ha alcune caratteristiche del museo tradizionale; ma che si contraddistingue per lo scopo di migliorare l’esperienza museale attraverso la personalizzazione, l’interazione e l’arricchimento dei contenuti del museo.

I musei virtuali possono presentarsi come riferimento digitale di un museo fisico, o possono essere realizzati indipendentemente, mantenendo ne l’autorevolezza.  L’esperienza del museo virtuale non ha l’obiettivo di soppiantare quella tradizionale, quanto piuttosto di rappresentare una valida alternativa.

I musei si mostrano interessati alla digitalizzazione delle loro collezioni poiché vogliono rendere disponibile il contenuto di queste ad un pubblico ancora più ampio in un modo più accattivante per i consumatori. 

A questo proposito, il direttore degli Uffizi di Firenze, Eike Dieter Schmidt ad inizio pandemia aveva affermato

“Evitiamo ogni contagio, tranne quello della bellezza”

Vista la situazione attuale in cui siamo ancora (quasi) tutti a casa, ecco una lista dei musei che potete comodamente visitare dai vostri dispositivi: 

Qui ne trovi molti altri, prova a cercare il tuo preferito!

L’edutainment (sembra una parolaccia ma non lo è) è un trend inevitabile per i musei che possono finalmente cogliere l’occasione per avvicinarsi di più ai visitatori. Bisogna riconoscere i cambiamenti nella società, adottare nuove tecnologie, essere competitivi nel mercato, ma allo stesso tempo preservare i valori tradizionali del museo. 

Questo trend è sempre più in crescita, non ci resta che attendere che le industrie creative mettano le mani in pasta. E nel mentre restiamo a casa!

Musei online e tour virtuali

 

 


La fiducia nel digitale generata dal Covid-19

di Laura Marina Popa
Tempo di lettura: 6 minuti

Il Coronavirus ha aumentato la fiducia nel digitale.

Il settore moda, come ho già trattato in un altro articolo, ha subito un duro colpo durante quest’emergenza sanitaria.

C’è stato dall’altra parte un decollo dell’e-commerce, che ha fatto sì che i canali tradizionali perdessero centralità.

Ma il mondo della moda non si ferma! Sono molte le proposte tecnologiche che stanno prendendo piede al momento: un esempio è Armani che ha annunciato da poco una collaborazione con Yoox Net-A-Porter per una nuova modalità che unificherà l’inventario digitale con quello fisico. Quando un cliente ordinerà un prodotto online, e quest’ultimo non sarà disponibile in magazzino, sarà indirizzato alla boutique più vicina che si occuperà di spedirlo.

L’utilizzo della AR nelle esperienze di acquisto sono modalità ormai utilizzate da molti brand online, che si sono dilettati nella creazione di filtri personalizzati per far provare i propri prodotti ai potenziali clienti.

Ma questo è un settore in continuo sviluppo in cui ormai si inizia a parlare di S-commerce e non più solamente E-commerce.

L’AVVIO DELL’S-COMMERCE

Non è un typo, sto parlando di S-commerce, gli acquisti sui social media.

In seguito al periodo storico che stiamo vivendo ed affrontando la prospettiva è cambiata in modo notevole: c’è la necessità di inventare una strategia di vendita che consenta ai social media di diventare i centri commerciali del futuro. Ma non è obiettivo dell’s-commerce sostituire l’esperienza fisica in negozio.

Nel 2012 Mark Zuckerberg, come un vero visionario del settore, aveva già imboccato questa strada ma senza ottenere il successo sperato.

 

Fonte: facebook.com

Durante il lockdown, Facebook Inc ha anticipato l’uscita di Shops, questo ha rappresentato un’ottima opportunità per i designer indipendenti e i piccoli negozi che attraverso pochi click hanno possibilità di convertire i loro profili social in negozi virtuali.

I social infatti con la loro messaggistica dedicata consentono all’utente interessato di interagire con i brand ponendo loro domande, richieste, informazioni etc..
Gli algoritmi che le piattaforme utilizzano permettono di acquisire gusti, luogo, persone. Ed attraverso l’AI si analizzeranno le foto che un utente pubblica o mette like per poter personalizzare sempre più l’esperienza online proponendo promozioni coerenti. Oltre all’uso della localizzazione che indirizzerà la persona verso il negozio fisico più vicino.

TIK TOK E LE CAMPAGNE VIDEO

Molti brand hanno scelto Tik Tok come piattaforma per sponsorizzare i loro prodotti.

Come? Attraverso challenge, balletti, contests. Infatti, la piattaforma non solo consente ai brand di promuoversi ma lancia sfide agli utenti. Da guardare un annuncio pubblicitario si passa ad interpretarlo, gli users diventano brand ambassador di un marchio.

Fonte: tiktok.com

Così la comunicazione non è più unilaterale, dove gli utenti subiscono la pubblicità, ma iniziano a farla.

Tik Tok, con il suo divertimento e la sua creatività permette agli iscritti di diventare un trend, rappresentando per l’industria della moda un’opportunità per mostrare la personalità e il lato artistico del brand in una modalità del tutto nuova.

TWITCH

Nata come piattaforma in cui i videogiocatori condividono le loro partire in diretta e dialogano con i loro seguaci, sta diventando un’altra arena virtuale che rappresenta l’ennesima opportunità per i brand di crescere.

Potrebbe essere una modalità in cui le case di moda potrebbero trasmettere le loro sfilate. Come ha fatto la Ravensbourne University di Londra dove gli studenti di moda hanno scelto il social per mettere in onda le loro collezioni di fine corso.

Fonte: forbes.comFonte: forbes.com

A decretare il suo successo? Amazon. Infatti il colosso del web ne è il proprietario. Chissà se tra qualche anno dal guardare le sfilate su Twitch si passerà ad acquistarne i capi direttamente sul Marketplace, staremo a vedere!

SHOPPABLE LIVESTREAM

Si tratta di mini show in streaming in cui si compra di tutto, una televendita online.

A giugno a Guangzhou è stato lanciato il primo LiveStream Shopping Festival, un evento sponsorizzato da WeChat e dalle autorità locali per rilanciare l’economia.

Fonte: agencychina.con

Sessioni di live shopping, in oriente già utilizzate e di grande impatto mediatico ed economico, in cui influencer cantano, ballano, parlano. Ma soprattutto provano abiti, accessori, prodotti di bellezza, oggettistica varia e naturalmente vendono. Come? Le piattaforme utilizzate consentono di allegare un rullino foto linkabile che riporta direttamente allo shop.

Questa tecnologia è stata per la prima volta utilizzata durante il Singles Day nel 2015 (Black Friday cinese), e quest’anno si è dimostrata un’arma vincente per rilanciare gli e-commerce durante la pandemia.

In questa realtà oltre alla vendita si assiste ad una crescita della figura dell’influencer che sta entrando in una fase matura della figura stessa.
Oggigiorno, infatti vengono considerati mini-aziende di supporto per molti brand che puntano a finanziarli, a farli crescere e conoscere come si farebbe con una start-up.

Molte sono le piattaforme di influmarketing che stanno nascendo per creare una realtà dedicata all’influencer e al suo lavoro:

  • Influencer.co
  • Coobis
  • BranTube
  • SocialPubli

E molte altre Il Coronavirus ha aumentato la fiducia nel digital

Ma chi sono i top influencers delle shoppable livestrem in Oriente?

Viya, una ragazza di 34 anni in grado di vendere qualsiasi cosa, dai cosmetici al cibo confezionato. Lo scorso Aprile ha venduto il lancio di un razzo per circa 40 milioni di yuan (5,6 milioni di $).

"Nello specifico, la mia ambizione è offrire tutto ciò di cui i miei fan potrebbero aver bisogno. Campanelli, tappeti, spazzolini da denti, mobili, materassi, tutto." 

Fonte: bloomberg.com

E poi Li Jiaqi, noto come “The Lipstick King”, perché durante le sue dirette, diventate virali, testa tutte le nuance dei rossetti: in una giornata ha una capacità di vendita esagerata, 40 milioni di potenziali clienti. Dedicando non più di cinque minuti a prodotto genera vendite per 145 milioni di dollari in un solo live.

Mr Bags, nome dell’influencer Tao Liang che si è guadagnato grazie alla sua performance in cui in 6 minuti è riuscito a vendere 500mila euro di borse Tod’s in edizione limitata che l’azienda ha realizzato per lui.

Come vendono? Usando la loro credibilità, sincerità e trasparenza di giudizio

Numerose sono le aziende che stanno iniziando ad approcciarsi a questa news. Bottega Veneta, Yves Saint Laurent, Valentino hanno avviato una trattativa con Powerfront per vendere le loro collezioni.

Ma non passa inosservata l’attenzione che Amazon sta dedicando a questa rivoluzione. Jeff Bezos ha seguito l’onda delle shoppable livestream spingendo per la crescita di Amazon Live

Fonte: Amazon.com

A questo servizio può accedere chiunque, ma non tutti possono avere la possibilità di vendere. La selezione degli influencer è filtrata tramite i loro social che vengono valutati e poi se soddisfano i requisiti otterranno un link dedicato e ricevendo una commissione tra il 3 e l’8% su ogni articolo venduto.

LA RIVOLUZIONE DELLA REMOTE CLIENTELING

Creare connessione autentica tra azienda e cliente anche se è filtrata da uno schermo è possibile. Lo dimostra Gucci, con il suo nuovo progetto Gucci Live, che si presenta come uno studio interattivo in cui la commessa o il commesso mostrano in diretta le peculiarità di ogni prodotto e rispondono alle domande dei potenziali clienti collegati in diretta. Il suo obiettivo è quello di ricreare la store experience che durante questa emergenza sanitaria è venuta a mancare un poco.

Fonte: vogue.it

Perché è sempre stato uno dei pilastri della Maison, la personalizzazione. In questo caso hanno voluto superare l’uso dei bot automatici nelle chat  e rendere l’esperienza di acquisto sempre più singolare nonostante ci siano altre persone nella live.

Non ci resta che attendere altre innovazioni tecnologiche e osservare lo sviluppo di queste nuove modalità! 

Il Coronavirus ha aumentato la fiducia nel digitale.


Antenna 5G su cielo azzurro e nuvoloso

COVID-19 e 5G: cosa succede?

L’emergenza sanitaria a livello mondiale continua, anche se il lockdown di intere nazioni e continenti sta iniziando a dare, lentamente e con grande sacrificio, i suoi frutti. La riduzione dei contagi da Covid-19 è però ancora troppo bassa per poter dire di essere rientrati dal clima di paura che ci circonda ormai da mesi. Ciò che tuttavia siamo ben distanti dallo sconfiggere è, purtroppo, il divagarsi di un fenomeno ancor più virale del Coronavirus: le fake news. Questo accade principalmente perché, in un periodo storico incerto come quello che stiamo vivendo, si è alla continua ricerca di risposte immediate a quesiti complessi che hanno necessariamente bisogno di studi ed analisi che si protraggono nel tempo. L’ansia da conoscenza immediata, unita alla paura di correre rischi alla salute, porta spesso a trarre conclusioni prive di corrette basi scientifiche che le comprovino.

Medico tiene tra le mani un planisfero in scala coperto a metà da una mascherina per descrivere la situazione mondiale a seguito dell'epidemia da Covid-19
Fonte: Ansa

È esattamente ciò che sta accadendo in questi giorni con il vasto tema del 5G. Si passa da complotti segreti orchestrati da alcuni stati per ragioni sconosciute, all’aumento dei casi di tumore derivanti da esposizioni ad onde elettromagnetiche delle antenne di nuova generazione, fino ad arrivare ad affermare una correlazione tra il diffondersi del Covid-19 proprio a causa dal 5G. Questi dunque tra i motivi alla base dell’escalation di rabbia e violenza che ha portato alcuni individui a dare letteralmente fuoco a ripetitori di onde in Olanda, Gran Bretagna, Irlanda e Nuova Zelanda. Gli sforzi della comunità scientifica volti ad affermare l’estraneità tra i due fenomeni sembrano non avere effetto sui cosiddetti dimostratori anti-5G, sparsi per il globo. Lo afferma anche il Ministero della Salute italiano, nell’apposita pagina web dedicata al contrasto delle bufale su internet:

“Non ci sono evidenze scientifiche che indichino una correlazione tra epidemia da nuovo coronavirus e rete 5G. Ad oggi, e dopo molte ricerche effettuate, nessun effetto negativo sulla salute è stato collegato in modo causale all'esposizione alle tecnologie wireless.” 

Estremità superiore di un'antenna per la trasmissione di segnale 5G circondata da cielo azzurro e nuvole bianche e grigie
Fonte: Dr Commodore

Facebook, il social network più utilizzato per la diffusione di notizie false, proprio per il l’immenso numero di utenti che giornalmente vi navigano, corre però ai ripari. A seguito di forti critiche da parte di attivisti e politici, ha prontamente deciso di chiudere una delle maggiori pagine britanniche, dall’evocativo nome “Stop5GUK”, che, con decine di migliaia di utenti attivi, diffondeva informazioni false. In seguito, il social di Zuckerberg ha dichiarato che, d’ora in poi, adotterà politiche più aggressive contro i gruppi che diffondono teorie cospirazioniste.

Mark Zuckerberg, Ceo e founder di Facebook con microfono in mano ad una conferenza
Fonte: InTime

Anche YouTube ha deciso di prendere una posizione forte in merito alla questione dei legami tra la diffusione del Covid-19 e le reti 5G. La piattaforma per la condivisione di video più grande al mondo ha, infatti, annunciato di voler ridurre la visibilità dei “video raccomandati” che parlano di tali teorie agli utenti e, nei casi più evidenti, in cui tali video violeranno esplicitamente le linee guida legate ad una corretta informazione sul tema, procederà con la rimozione.

Logo di Youtube nero, rosso e bianco con sullo sfondo alcuni schermi di computer sfocati
Fonte: Tecno Android

Due sono in particolare le notizie false più rilevanti che circolano sui social media:

  • i batteri sono in grado di trasmettersi attraverso le onde elettromagnetiche;
  • il 5G indebolisce il sistema immunitario umano accrescendo la letalità del Covid-19.

La prima notizia falsa poggia su uno studio congiunto realmente condotto nel 2011 tra la Northeastern University di Boston e l’Università di Perugia secondo il quale le onde elettromagnetiche incidono su specifiche reazioni chimiche dei batteri e non sulla proliferazione delle rispettive colonie, come falsamente riportato.  Inoltre, è fondamentale sapere che il Covid-19 non è un batterio, ma bensì un virus e di conseguenza, nonostante esistano alcuni virus respiratori, la sua resistenza fuori dall’organismo è decisamente bassa. Al contrario, i batteri sono in grado di riprodursi nell’ambiente esterno, su qualunque superficie.

Sulla seconda fake news, ci sono diversi studi che confermano come il livello delle onde radio 5G sia basso nella scala di frequenza dello spettro elettromagnetico. Una delle indagini più significative in questo ambito è quella del professore di microbiologia cellulare Simon Clarke, dell’University of Reading (estensione dell'Università di Oxford nel Berkshire), il quale afferma, in sintesi, che a differenza dei raggi UV e dei raggi X con frequenze decisamente più elevate, le onde radio del 5G, non sono abbastanza potenti da danneggiare le cellule.

Tastiera da computer con tasti bianchi in cui sono stati disegnate delle lettere in rosso per formare la scritta fake news
Fonte: Secolo d'Italia

Di fronte alla crisi sanitaria più spaventosa che l’epoca moderna abbia mai affrontato, è auspicabile che scorrendo le notizie su internet si abbia la coscienza di essere razionali, di non credere a tutto ciò che si legge, a non condividere false informazioni e quindi di riuscire a scindere il reale dal surreale, nonostante l’incalzante paura di mettere a rischio la propria salute. Le conseguenze dei roghi alle torrette 5G avvenuti nel corso di questa settimana, sono state di mettere a repentaglio un’infrastruttura digitale affidabile ed al momento essenziale per il mantenimento di collegamenti e comunicazioni stabili, soprattutto tra strutture ospedaliere, centri di ricerca e case di cura, e tutto ciò è inaccettabile.


Riconversione produttiva causa Covid-19

Articolo di Erica Lo Verso
Tempo di lettura: 3 minuti

La pandemia legata al Covid-19 ha messo a dura prova l’intera umanità e le istituzioni sanitarie, che per continuare a proteggerci hanno bisogno della nostra collaborazione. A tal proposito, fortunatamente non sono mancate azioni di solidarietà, né da parte dei cittadini (le donazioni raccolte sono state fondamentali per la realizzazione di nuovi reparti di terapia intensiva) né tanto meno da parte delle imprese, che si sono prontamente mosse per la fornitura del materiale necessario per contenere quanto più possibile i rischi legati alla diffusione del virus.

Tra i contributi più recenti, vi è quello di Apple: dopo essere riuscita finora a distribuire in tutto il mondo oltre 20 milioni di mascherine, l’amministratore delegato Tim Cook ha annunciato il 5 aprile, attraverso un video-messaggio sul proprio profilo Twitter, che l’azienda produrrà un milione di schermi facciali protettivi a settimana per gli operatori sanitari degli Stati Uniti (inclusa questa appena conclusa). Nel video, il CEO spiega che ogni confezione contiene cento scudi facciali che possono essere assemblati in meno di due minuti e sono pienamente regolabili. La prima consegna è stata inviata a una serie di ospedali nella Santa Clara Valley la settimana precedente riscontrando feedback molto positivi da parte dei medici. Attualmente tali protezioni sono destinate agli Stati Uniti ma l’obiettivo è di estendere la distribuzione anche in altri Paesi.

Per Apple – conclude Cook – questo è un lavoro di amore e gratitudine e continueremo a condividere più dei nostri sforzi col tempo”.

Non solo Apple ma tantissime fabbriche e aziende del mondo, grandi e piccole, di ogni settore industriale, si sono impegnate per affrontare l’emergenza del nuovo Coronavirus, riconvertendo momentaneamente il loro core business per la produzione di dispositivi protettivi per prevenire il contagio da Coronavirus.

Nel nostro Paese, anche grazie agli incentivi forniti dal Governo con il Decreto “Cura Italia”, in relazione alle agevolazioni per le imprese che producono dispositivi di protezione individuale e medicali, le associazioni di settore si sono mobilitate in questa direzione: il 23 marzo, Confindustria Moda ha lanciato una campagna per raccogliere le candidature delle aziende del tessile-moda per riconvertire la produzione in quella di mascherine. Le aziende interessate sono tenute a presentare un’autocertificazione attestando i requisiti richiesti per avviare la produzione.

Molte aziende, soprattutto nel settore manifatturiero e tessile, hanno iniziato a muoversi per questa riconversione industriale. Il Commissario Domenico Arcuri ha annunciato che “180 aziende delle Camere della moda si sono messe insieme ed hanno creato due filiere per produrre due milioni al giorno di mascherine”. Tra queste vi sono grandi nomi come Fendi, Armani, Gucci, Ferragamo, Celine, Valentino e Prada (alcuni dei quali hanno prodotto anche migliaia di camici) ma contributi rilevanti arrivano anche dal fast fashion (H&M, Zara), oltre che da piccole aziende come Modaimpresa, impegnata nella produzione di 10 mila mascherine protettive con filtro al giorno.

Contestualmente, l’azienda cosmetica Davines, il gruppo LVHM e la partnership Bulgari-ICR  hanno permesso la distribuzione di grandi quantità di gel disinfettante per le mani, il quale viene fornito anche dai produttori di bevande alcoliche come Bacardi e Assodistil.

Per quanto riguarda i ventilatori polmonari, gli ingegneri di Fca e Ferrari collaborano con la Siare Engineering - l’unica azienda italiana produttrice di respiratori necessari per i pazienti nelle terapie intensive e commissionata dal Governo per la produzione di 500 ventilatori al mese per quattro mesi - per aiutarli a raddoppiare la produttività.

Fonte: Eurosport

Un ulteriore contributo da parte di Ferrari nella lotta al Covid-19 riguarda il progetto “Back on Track”, realizzato con la collaborazione di un pool di virologi ed esperti e patrocinato dalla Regione Emilia Romagna, con l’obiettivo di mettere a disposizione della comunità le pratiche più avanzate per la difesa della salute dei lavoratori al riavvio dell’attività produttiva. Infatti, attraverso esami e un’App apposita, l’azienda cerca di monitorare lo stato di salute dei suoi collaboratori e disporre di tutte le misure necessarie per il trattamento del paziente in caso di positività. Il progetto prevede questo e tanto altro che fa sì che “Ferrari si prende cura della risorsa più preziosa, le proprie persone, facilitando un ritorno alla vita lavorativa il più possibile sicuro e sereno” (come riporta una nota aziendale).

Tutti i casi citati (e tanti altri ancora) sono accomunati dal fatto che le aziende, in questo momento di difficoltà, stanno adattando il proprio business per far fronte a questa “straordinaria” emergenza sanitaria, per tutelare la salute dei cittadini, che oggi più che mai è l’obiettivo primario da raggiungere.


Birra Corona Extra con limone

Brand Equity: il caso Corona Extra

di Simona Galioto
Tempo di lettura: 2 minuti

I social media sono un posto meraviglioso. Anche durante un periodo grigio, come quello che stiamo vivendo adesso, caratterizzato dalla diffusione del coronavirus, si riesce a sdrammatizzare attraverso contenuti ironici e divertenti. Tra questi non potevano mancare di certo i meme, contenuti virali per eccellenza nel mondo digital, e le associazioni stravaganti che hanno coinvolto il virus; quelli di maggiore successo riguardano la birra Corona e il Covid19.

Birra Corona con il Coronavirus e altre birre con la mascherina
Fonte: wired.it

Nonostante fosse solamente un modo della Rete per ironizzare sulla realtà, tutto ciò ha avuto delle ricadute sul marchio della nota birra, con tanto di perdite economiche per l’azienda e un calo sulla borsa di New York

Birra Corona su una spiagge. Meme durante il Coronavirus
Fonte: cdt.ch

Il motivo? Semplicemente l’assonanza del nome.

Il Coronavirus è stato battezzato così in virtù della sua struttura osservabile al microscopio. La birra Corona, invece, dovrebbe il suo nome alla decorazione della torre principale della chiesa di Nostra Signora di Guadalupe di Puerto Vallarta in Messico.

Ma tralasciando l’assonanza del nome, è ovviamente chiaro a tutti che non vi possa essere alcuna connessione tra la birra e il Covid-19. Eppure la Constellation Brands Inc (compagnia indipendente da ABinBev, per quanto riguarda il mercato americano) ha perso l’8% alla borsa di New York. Secondo un sondaggio di YouGov, la percezione dei consumatori, soprattutto statunitensi, nei confronti della bevanda è nettamente peggiorata dall’inizio di quest’anno: Il 38% degli intervistati non comprerebbe birra Corona e il 14% del campione non la ordinerebbe in pubblico. Il dato più sorprendente, però, è che il 16% degli intervistati avrebbe dichiarato di non essere sicuro che non vi sia una qualche relazione tra la birra Corona ed il Coronavirus.

Molte sono state le ricerche su Google che avevano come keywords "Coronavirus birra corona" o "Virus birra corona", l'azienda si è dunque ritrovata a dover smentire il legame tra la birra Corona e il Coronavirus.

Com’è possibile che la sola assonanza del nome abbia avuto tanto effetto sul fatturato di un brand?

I modelli di analisi del valore economico della marca, o brand equity, sono stati introdotti nella letteratura accademica da Keller e Aaker.

Secondo Keller il fattore strategico fondamentale da prendere in considerazione per lo sviluppo del valore della marca è rappresentato dalla conoscenza che i consumatori hanno del brand (brand knowledge).  Questa si fonda su due dimensioni: 

  • La consapevolezza di marca (brand awareness), che esprime la capacità della marca di essere riconosciuta e richiamata alla memoria dal consumatore, 
  • L’immagine di marca (brand image), che sintetizza le percezioni sulla marca presenti nella memoria dei consumatori e che si riflettono in associazioni di varia natura alla marca stessa.

Il modello di Keller, definito Customer Based Brand Equity, prende in considerazione il punto di vista della domanda. La forza di un marchio dipende dai clienti, il potere dello stesso risiede nella mente dei consumatori e da quello che hanno appreso su di esso. La forza di un brand dipende dal suo posizionamento competitivo e da come questo è stato costruito nel tempo.

La Corona Extra è tra le birre d’importazione più vendute negli Stati Uniti insieme a Guinness e Heineken. Ciò vuol dire che il posizionamento di questo prodotto nella mente dei consumatori è ben radicato. 

E’ evidente che la birra messicana negli anni ha operato molto bene la propria strategia di brand management, tanto che i consumatori hanno costruito un’associazione mentale con il coronvarius, assolutamente poco veritiera, solo per effetto dell’assonanza del nome. 

Birra Corona, sale e limone
Fonte: navasdistribuzione.it

Nella mente dei consumatori, americani per lo più, in riferimento al settore delle birre, la Corona Extra occupa il gradino più alto, definito top of mind. Qual è il rovescio della medaglia? 

In questo caso la diffusione del coronavirus, che contiene all’interno del suo nome la parola “corona”, e il forte posizionamento del noto brand nella mente dei consumatori, ha creato quasi inconsciamente un’associazione tra i due, che si è trasformata nella diffusione virale di meme e contenuti ironici.

Tutto questo ci fa riflettere sul fatto che anche i fattori esterni devono essere presi in considerazione dai brand, dato che possono avere sia degli effetti positivi sia, come in questo caso, conseguenze e ripercussioni negative . 

Probabilmente tra qualche mese ci ritroveremo al bar o al parco con gli amici a sorseggiare proprio una birra Corona.

#TuttoAndràBene 

 

 

 


Pinterest lancia nuovi modi di fare shopping

Il successo di Pinterest: un social in ascesa

Di Antonino Ferro

Tempo di lettura: 3 minuti

Nell’ultimo periodo si è evidenziata in modo sempre più consistente l’importanza dei contenuti visuali nel processo di attrazione, coinvolgimento e conversione di nuovi contatti. Il visual content marketing è il trend del momento. Facebook, Instagram, Snapchat e Pinterest inseriscono costantemente nuove funzionalità per permettere una migliore fruizione di questo tipo di contenuti. Le persone adorano i contenuti visuali. Per questo motivo le performance dei contenuti testuali sono di molto inferiori rispetto a quelle dei contenuti visuali. Questi ultimi hanno maggiori probabilità di condivisione.

Logo Pinterest
Fonte: Pinterest.com

Pinterest, appunto è un social network basato sulla condivisione di fotografie, video e immagini. Il nome deriva dall'unione delle parole inglesi pin (spillo, puntina) e interest (interesse). Pinterest permette agli utenti di creare bacheche in cui catalogare le immagini presenti nei siti web in base a temi predefiniti oppure da loro scelti.

La notizia principale è che Pinterest nell’ultimo periodo ha superato Snapchat e si aggiudica il terzo posto dietro Instagram e Facebook. Soprattutto grazie ai nuovi aggiornamenti, il social si è conquistato un posto sempre più appetibile per brand ed inserzionisti. Il sorpasso è stato letto dagli investitori come un chiaro segnale del declino della piattaforma dei messaggini fantasma a favore della piattaforma orientata sulle immagini. Il titolo di Pinterest è balzato del 13% alla pubblicazione del report di eMarketer e continua a guadagnare oggi più del 9%. Secondo l’ultimo rapporto di eMarketer, Pinterest avrebbe superato Snapchat continuando a crescere anche nel mercato italiano. Snapchat nonostante i continui sforzi tecnologici ha iniziato a perdere il suo appeal soprattutto nei confronti degli utenti più giovani. Il numero degli utenti di Pinterest è salito a 82,4 milioni nel 2019, in aumento del 9,1% rispetto all’anno precedente, battendo gli 80,2 milioni di Snapchat con un aumento del 5,9%, secondo le stime del rapporto.

Differenze tra Pinterest e Snapchat a livello di fatturato e crescita negli ultimi anni
Fonte: www.emarketer.com

Le stime di eMarketer per Pinterest e Snapchat si riferiscono a utenti di ogni età che usano il servizio una volta al mese. Nel caso di Pinterest, si considerano gli utenti di Internet che accedono al loro account da qualunque dispositivo; per Snapchat si considera chi accede dalla app mobile.

Nel 2019, Snapchat aveva un lieve vantaggio, per un totale di 80,2 milioni di utilizzatori stimati da eMarketer. Ciò non ha evitato il sorpasso di Pinterest, con 82,4 milioni di utenti stimati l’anno scorso (+9,1%) e 86 milioni previsti per il 2021 (+4%), a coronamento di un periodo positivo per il brand. Anche per Snapchat eMarketer prevede una crescita degli utenti nel 2020, a 83,1 milioni. Ma il gap tra le due piattaforme, dicono gli analisti, continuerà ad allargarsi. Snapchat, dunque, non è in caduta libera, ma la sua debolezza è costituita dal fatto che non riesce ad allargare i suoi spazi e soffre la concorrenza dei servizi alternativi. Uno dei motivi, è che Pinterest è riuscita ad attrarre pubblico tra tutte le fasce di età, mentre l’audience di Snapchat si concentra nella fascia dei più giovani, tra i 18 e i 34 anni. Gli utenti di Pinterest rappresenteranno il 41,1% di tutti gli utenti Usa di social media, mentre Snapchat accentrerà il 39,7%. Percentuali ancora rilevanti ma mentre i numeri di Snapchat non si sposteranno nel corso del 2021, Pinterest accrescerà lievemente il suo share. Secondo Pinterest le ricerche di video ispirazionali sono aumentate del 31% all’interno della piattaforma e sempre più brand puntano sui video come mezzo di intrattenimento, comunicazione e pubblicità. Secondo una stima fornita da CNBC lo scorso dicembre, TikTok è arrivata a circa 625 milioni di utenti su base globale, anche se non sono ancora del tutto chiari i numeri dell’app. La grande forza di Pinterest degli ultimi anni è stata quella di posizionarsi come il più grande e performante social network di ricerca visiva.

Mentre Facebook si trasforma in un’infrastruttura sempre più sociale moltiplicando a dismisura le sue funzioni, YouTube diventa una vera piattaforma di streaming, Pinterest continua a essere coerente con lo scopo per cui era nato, ovvero consentire agli utenti di avere una potentissima piattaforma di ricerca visiva, fenomenale soprattutto nei settori moda, design, food e make-up.

Panoramica applicazione Pinterest e le varie funzionalità
Fonte: Studiosamo.it

Ricerca visiva e shopping rappresentano una combinazione sempre più vincente. Tra gli aggiornamenti più importanti dello scorso anno vi è sicuramente l’aggiornamento e il potenziamento di Pinterest Lens. Un nuovo design per rendere ancora più semplice scattare foto nel mondo reale e caricarle nei propri board, oltre alla possibilità di trovare oggetti di design o di moda sbirciati qua e là in negozi o camminando per strada, che Pinterest Lens è in grado di riconoscere e di trovare qualcosa di simile. Dopo questo aggiornamento quando utilizziamo il tool all’interno di un Pin sulla moda o sull’arredamento di interni per scoprire un prodotto specifico, vediamo comparire dei Pin prodotto acquistabili, ovvero dei Pin con il prezzo attuale del prodotto e un link diretto alla procedura di pagamento finale sul sito del rivenditore.

Un altro strumento si chiama Pinterest Shop diretto all’e-commerce. Un tentativo da parte dell’azienda di trovare una strada sostenibile alla profittabilità. Il titolo dell’azienda ha infatti perso quota dopo che lo scorso trimestre ha mancato gli obiettivi di fatturato. Tuttavia, Pinterest è convinta di poter ridurre le perdite, stimate tra i 10 e i 30 milioni di dollari nel 2019, rispetto a quanto previsto in precedenza, cioè perdite comprese in un intervallo tra i 25 e i 50 milioni di dollari. Secondo Piper Jaffray attualmente il leader in questo settore è Instagram che riesce a raggiungere un pubblico di potenziali clienti più giovani. Le ricerche di video ispirazionali sono aumentate del 31% all’interno della piattaforma e sempre più brand puntano sui video come mezzo di intrattenimento, comunicazione e pubblicità. Per questo l’azienda ha deciso di supportare le aziende per soddisfare questa domanda introducendo nuove funzionalità video che includono:

-Un video tab che permette alle aziende di presentare tutti i propri video in un unico luogo;

-Un aggiornamento dell’uploader che permette di caricare i video direttamente su Pinterest;

-Lifetime analytics con informazioni dei video e statistiche nel tempo;

-Pianificazione dei pin per programmare in anticipo la pubblicazione dei video;

Altro aggiornamento molto interessante per i brand è stato nel 2019 con l’introduzione dei cataloghi. Grazie a questo strumento le aziende hanno l’opportunità di caricare su Pinterest il loro catalogo completo trasformando automaticamente i loro prodotti in Pin prodotto acquistabili.

L’ultima novità, in arrivo in Italia è Pinterest Trends, uno strumento che consente ai brand di comprendere meglio l’andamento dei contenuti su Pinterest, dando statistiche negli ultimi 12 mesi dei termini più cercati. Uno strumento in prospettiva utilissimo per ricerche di mercato e per accedere a dati utilissimi sul comportamento degli utenti permettendo alle aziende di capire meglio quali sono le aree in cui investire di più e allocare il maggior budget delle campagne.

Individuare gusti, preferenze e interessi grazie a dati che vengono messi per la prima volta a disposizione dei brand è l’obiettivo di Pinterest che si trasforma sempre più in un hub dalle potenzialità infinite per i marchi a metà tra Google e Amazon in grado di interpretare gli utenti a 360 gradi.


Domino’s alla conquista dell’Italia

Di Giorgia Labieni

Tempo di lettura: 2 minuti

 

Avete mai assaggiato la pizza di Domino’s? Se la risposta è no, allora nei prossimi mesi potrebbe cambiare. Il colosso statunitense ha infatti espresso il desiderio di voler aprire ben 880 sedi nel nostro paese entro il 2030.

Per chi di voi non conoscesse il brand: Domino’s, fondata nel 1960 dai fratelli Tom e James Monaghan in Michigan, è oggi la seconda più grande catena di pizzerie a domicilio degli Stati Uniti e conta più di 16mila ristoranti in 85 paesi diversi, compreso il nostro.

Uno dei suoi maggiori punti di forza è la distribuzione, dalla selezione dei migliori fornitori, all’allestimento del punto vendita, alla selezione e formazione dei dipendenti, nonché l’efficienza del sistema di consegne, che posizionano l’azienda al di sopra dei maggiori concorrenti odierni. 

Fonte: zero.eu

Alessandro Lazzaroni, AD di Domino’s in Italia, ha deciso di acquistare i diritti per l’utilizzo del brand con l’idea di poter esportare la pizza americana sul suolo italiano, offrendo un servizio difficilmente replicabile dalle normali pizzerie: possibilità di ordinare online, di pagare sia in contanti sia con carta, e una consegna veloce e puntuale. 

L’azienda è già presente in Italia dal 2015, con la fondazione del suo primo punto vendita a Milano, e poi in altre 7 diverse città, fino ad arrivare a 28 pizzerie tra Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. 

L’espansione intende coprire il territorio compreso tra nord e centro Italia, fermandosi a Roma, il mancato investimento nelle regioni del sud implica diverse ragioni, una tra tutte la difficile penetrabilità del mercato. 

Qual è quindi l’obiettivo di Domino’s e perché ha deciso di investire così tanto proprio nel paese dove è stata creata la pizza e ha assunto il valore che ha oggi? 

Alessandro Lazzaroni sostiene che:
“Gli italiani amano mangiare bene, ma non sono incatenati alle tradizioni. Piuttosto, sono curiosi di provare cose nuove”, egli è fiducioso sul successo di tale investimento, tanto da prefiggersi l’obiettivo di raggiungere il 2% della quota di mercato delle pizzerie in Italia nei prossimi dieci anni diventando “la prima società digitale di consegne in Italia”.

Fonte: bergamonews.it

L’operazione, prevede di suddividere i nuovi e potenziali punti vendita in un 50% franchising e il restante gestiti dall’azienda per arrivare nel 2021 a un rapporto 30%-70%, con un investimento di circa 250 mila euro per punto vendita, 14 impiegati ciascuno, di cui sei corrieri; il focus è stato su questi ultimi, in quanto l’ azienda è stata l’unica multinazionale ad aver sottoscritto la Carta di Bologna, un accordo che prevede la tutela e la regolamentazione di questa posizione lavorativa.  È utile riportare alla memoria ciò che accadde nel 2018, quando un altro colosso americano, Starbucks, decise di spostarsi sul nostro paese, i social e la stampa iniziarono ad esprimere i primi dubbi, su come e se questo tipo di catene potessero o meno rovinare e danneggiare l’immagine e la reputazione dei prodotti alimentari del nostro paese, se prima si disquisiva sul caffè e i prodotti da bar, oggi l’attenzione è rivolta alla pizza. 

Specialmente su Twitter si notano le prime critiche e i primi dubbi, molti sono scettici e sono convinti che saranno soldi mal investiti, altri sostengono come tale iniziativa possa seriamente ledere il mercato italiano, mentre altri suggeriscono come il governo debba fermare questa espansione tramite regolamentazioni. 

I dubbi sono leciti, l’Italia è il paese leader per quanto riguarda cucina e ingredienti di prima qualità e la presenza di questi colossi potrebbero seriamente corrodere il nostro sistema. 

Fonte: wired.it

È lo stesso Lazzaroni a chiarire la situazione, illustrando come la materia prima utilizzata e le fasi di lavoro siano di altissima qualità, così come gli ingredienti e la fragranza dei prodotti, in particolare Domino’s Italia utilizza solo materie da produttori certificati, e alcuni di questi fanno parte della categoria dei D.O.P., “Denominazione di Origine Protetta”.  

Questo tipo di operazione è stata implementata anche in altri paese europei, come Norvegia, Svezia, Irlanda etc., risultando però fallimentare e portando l’azienda a chiudere più di 100 punti vendita per mancati profitti.

Le parti sono schierate e per sapere come si evolverà la situazione non ci resta che aspettare la risposta alla domanda fondamentale: riuscirà Domino’s ad abbattere la tradizione e a conquistare la pancia degli italiani? 

 


Coronavirus: chiariamoci le idee

La Cina è in quarantena: strade deserte, scuole chiuse, mezzi pubblici inutilizzabili e produzione industriale sospesa. No, non è il prologo di un film apocalittico sulla fine del mondo, ma le conseguenze della diffusione dell’ormai noto coronavirus. Tv, giornali e social media sono in continuo aggiornamento con notizie provenienti da Pechino, Usa, Russia ed Italia che hanno momentaneamente bloccato i voli e inizia a manifestarsi una certa diffidenza nei confronti della popolazione cinese. Ma cosa sta davvero accadendo? Chiariamoci le idee.

Turisti cinesi con mascherine per corona virus in aereoporto
Fonte: Thenational

I coronavirus, innanzitutto, fanno parte di un’ampia famiglia di virus in grado di causare sia malattie comuni come un semplice raffreddore, fino ad arrivare a patologie più gravi come la SARS (Sindrome respiratoria acuta grave), già manifestatasi in Cina nel 2002 con 8.000 persone contagiate e 775 decessi accertati, o la MERS (Sindrome respiratoria mediorientale). Quello manifestatosi per la prima volta a Wuhan, è dunque un nuovo ceppo mai stato identificato precedentemente dall'uomo, dal nome "Coronavirus 2019-nCoV".

Virus Coronavirus 2019-nCoV al microscopio
Fonte: Wikipedia

Attualmente non è noto come si sia sviluppato. Alcuni sostengono che sia arrivato all’uomo dal serpente e dal pipistrello (molte altre malattie respiratorie simili a questa, provengono proprio da questi animali). Altri affermano invece, che si sia propagato dal mercato del pesce della cittadina cinese, anche se, a ben vedere, non ci sono riscontri oggettivi sulla presenza del primo paziente su cui è stato riscontrato il virus al mercato, in periodi antecedenti il primo dicembre (giorno del suo ricovero). A far discutere è stata inoltre la comunicazione tardiva da parte delle autorità di Pechino, all'Organizzazione Mondiale della Sanità (OSM), circa la diffusione del nuovo agente infettivo, arrivata soltanto a fine mese. Dalla provincia orientale di Hubei, il nuovo coronavirus si sarebbe propagato in altre zone della Cina arrivando rapidamente, a causa degli spostamenti aerei, in altre parti del mondo. Da dicembre ad oggi sarebbero 20 mila i contagi ed oltre 400 le morti causate dal virus. Da qui è possibile monitore la diffusione in tempo reale grazie alla mappa fornita dalla Johns Hopkins University.

Soltanto il 20 gennaio è stata scoperta la trasmissibilità tra esseri umani del nuovo ceppo, dalla National Health Commission cinese: il contagio avviene attraverso il contatto con gocce di respiro di soggetti infetti, provocate da tosse, starnuti e mucosa nasale. Il tasso di contagiosità non è comunque alto, compreso tra 1,5 e 2, il che significa che ogni infetto può contagiare da una a due persone (per il morbillo, ad esempio, il tasso va da 7 a 29). Il periodo di incubazione, cioè l’arco temporale tra il contagio e il manifestarsi dei primi sintomi clinici, va dai due giorni alle due settimane, tuttavia il problema maggiore è dato dalla complessa diagnosi. Il coronavirus presenta, infatti, sintomi comuni ad una semplice influenza quali raffreddore, febbre, tosse secca e difficoltà respiratorie. Di conseguenza, in caso di sospetto contagio, sono necessari degli esami di laboratorio per confermarne la presenza. La letalità (il numero dei decessi rispetto alla percentuale dei casi), infine, è bassa; basandosi sui pazienti curati in ospedale è del 3% e, sale al 20%, nei casi più gravi. È possibile comunque consultare, per maggiori informazioni, l’apposita pagina web istituita dal Ministero della Salute.

Cinese con mascherina e smartphone in aeroporto
Fonte: Thenational

Tuttavia, non finisce qui: sono anche i risvolti economici e sociali dell’epidemia a preoccupare le grandi potenze mondiali. Anche se è ancora troppo presto per valutare i reali impatti del coronavirus sulla crescita del gigante asiatico, le prospettive non sono certo positive. È previsto che il Pil cinese perda poco più di un punto percentuale già nel primo trimestre del 2020, rispetto a quanto preventivato, se i settori più colpiti dal calo dei consumi dei cinesi (trasporti e intrattenimento pubblico), dovessero scendere del 10%, secondo quanto riportato da Standard & Poor’s. Sotto la lente d’ingrandimento degli investitori, anche il settore tecnologico: ad oggi la Cina è al secondo posto nel mercato globale per valore e quantità degli investimenti di venture capital in startup e società tecnologiche. Si teme che la relazione negativa tra epidemie ed effetti economici, comporti un calo nell'afflusso di capitali privati. Il vero problema risiede però, nella chiusura temporanea di migliaia di fabbriche che blocca la produzione e, di conseguenza, le catene del valore globalizzate non soltanto nel settore dell’automotive e della chimica.

C’è da preoccuparsi anche a livello mondiale. Pechino rappresenta quasi un terzo della crescita globale con una quota percentuale superiore ad Europa, Usa e Giappone messe insieme, come ribadito da Andy Rothman, economista di Matthews Asia. Di conseguenza, alla luce di una crescita globale del 2,9% stimata per il 2020, l’impatto negativo sul Pil mondiale, potrebbe anche arrivare ad essere superiore all’1,8%.

Cinese fa shopping in un centro commerciale con buste rosse in mano e smartphone
Fonte: Luxetalent

E l’Italia? Essendo un paese che più di altri basa la propria economia sulle esportazioni e, considerando che il popolo cinese è tra i maggiori consumatori a livello globale, non si può certo stare sereni. I settori più colpiti saranno il lusso e il turismo. Il primo vale il 50% della bilancia commerciale, con i cinesi protagonisti del 28% degli acquisti (spesa media giornaliera pari a 300 euro). Il secondo, dopo un 2019 che aveva fatto registrare il record assoluto di presenze cinesi (5,3 milioni), per quest’anno dovrà prevedere numeri certamente più contenuti. Basti pensare ad una città d’arte come Firenze che prevede un calo da gennaio a maggio di circa 400 mila unità. Paura, quarantena, diffidenza e blocco degli spostamenti stanno facendo crollare il mercato cinese, fondamentale per l’Italia.

Nella speranza che in tempi brevi l’epidemia riesca ad essere contenuta, il vaccino scoperto e il virus debellato, il nostro pensiero non può non andare al Dott. Li Wenliang, uno dei primi medici cinesi ad avere intuito la pericolosità del nuovo virus. Accusato dalla polizia di Wuhan di aver “turbato l’ordine sociale e diffuso notizie false”, il medico cinese è deceduto il 5 febbraio per aver contratto il virus che aveva scoperto, ma che nessuno aveva creduto potesse esistere. Pochi giorni dopo le accuse, il coronavirus ha iniziato a diffondersi in tutta la Cina. Vorremmo ricordarlo con le parole scelte da Enrico Mentana sul suo profilo Instagram:

“Beati i mondi che non hanno bisogno di eroi, addio Dott. Li”.

Dott. Li Wenliang in ospedale
Fonte: RaiNews

Amazon e il suo Marketplace

Novità in cas(s)a Amazon

di Laura Marina Popa
Tempo di lettura: 2 minuti

Amazon da anni sta investendo in ricerca sui metodi di pagamento; sta lavorando ad un nuovo sistema che permette di acquistare i suoi prodotti attraverso la scansione del proprio palmo della mano e intanto, in Italia, sta testando la possibilità di dilazionare i pagamenti a tasso zero.

Questa funzione era già presente in altri paesi quali, Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Germania.

Per il momento il colosso americano dell'e-commerce non ha ancora diffuso un comunicato ufficiale, ma la notizia appare fondata alla luce dell’opzione presente in riferimento all’acquisto di alcuni prodotti con il metodo “Pagamento a rate mensili” e alla pubblicazione di una pagina sui “Termini e condizioni dei pagamenti a rate”.

L’opzione però presenta dei limiti. Infatti, non solo al momento è disponibile solamente per un campione di utenti, ma anche solo per determinati prodotti:

  • Prodotti nuovi (Amazon Warehouse Deals esclusi)
  • Dispositivi Amazon nuovi
  • Dispositivi Amazon certificati.
Amazon offre l'opzione dei pagamenti a rate
Fonte: iGizmo.it

 

Anche l’utente deve possedere una serie di requisiti per acquistare un prodotto su Amazon pagandolo a rate:

  • Residente in Italia
  • Account it attivo da almeno 1 anno
  • “Una buona cronologia di pagamenti su Amazon.it”, come si legge sul sito: vale a dire che occorre aver acquistato spesso sul marketplace
  • Possedere una carta di credito o di debito MasterCard, VISA o American Express. Escluse le carte prepagate e il circuito Maestro.

Una volta che si è usufruito del pagamento rateale, non sarà possibile dilazionare ulteriori acquisti finché l'utente non avrà finito di pagare le rate della precedente transazione.

La dilazione di pagamento consiste in cinque rate mensili comprese di Iva e senza alcun interesse o onore finanziario. I costi di spedizione vengono inclusi nella prima rata il cui pagamento avverrà il giorno della spedizione del collo, le successive saranno addebitate ogni 30 giorni a partire dalla prima.

L'utente non può chiedere una suddivisione differente dell'importo da pagare, ma può decidere di saldare in anticipo le rate in qualsiasi momento.

Chissà se Amazon con questa nuova strategia riuscirà a conquistarsi una fetta di mercato più grande di quella che già possiede.

Infatti, è uno dei pochi marketplace che consente di pagare in comode rate il che fa sì che si distingua dagli altri e-commerce, inoltre è provato che questo metodo di pagamento riesce garantisce una maggiore accessibilità ai certe tipologie di prodotti.

Amazon e il suo Marketplace
Fonte: TuttoTech.net

Voi ne fate parte di quel campione di utenti che ha accesso a questa nuova modalità? Inserisci un prodotto nel carrello e controlla se compare la dicitura: “Paga in 5 rate mensili da xx,xx €”.