Brand Equity: il caso Corona Extra
di Simona Galioto
Tempo di lettura: 2 minuti
I social media sono un posto meraviglioso. Anche durante un periodo grigio, come quello che stiamo vivendo adesso, caratterizzato dalla diffusione del coronavirus, si riesce a sdrammatizzare attraverso contenuti ironici e divertenti. Tra questi non potevano mancare di certo i meme, contenuti virali per eccellenza nel mondo digital, e le associazioni stravaganti che hanno coinvolto il virus; quelli di maggiore successo riguardano la birra Corona e il Covid19.
Nonostante fosse solamente un modo della Rete per ironizzare sulla realtà, tutto ciò ha avuto delle ricadute sul marchio della nota birra, con tanto di perdite economiche per l’azienda e un calo sulla borsa di New York
Il motivo? Semplicemente l’assonanza del nome.
Il Coronavirus è stato battezzato così in virtù della sua struttura osservabile al microscopio. La birra Corona, invece, dovrebbe il suo nome alla decorazione della torre principale della chiesa di Nostra Signora di Guadalupe di Puerto Vallarta in Messico.
Ma tralasciando l’assonanza del nome, è ovviamente chiaro a tutti che non vi possa essere alcuna connessione tra la birra e il Covid-19. Eppure la Constellation Brands Inc (compagnia indipendente da ABinBev, per quanto riguarda il mercato americano) ha perso l’8% alla borsa di New York. Secondo un sondaggio di YouGov, la percezione dei consumatori, soprattutto statunitensi, nei confronti della bevanda è nettamente peggiorata dall’inizio di quest’anno: Il 38% degli intervistati non comprerebbe birra Corona e il 14% del campione non la ordinerebbe in pubblico. Il dato più sorprendente, però, è che il 16% degli intervistati avrebbe dichiarato di non essere sicuro che non vi sia una qualche relazione tra la birra Corona ed il Coronavirus.
Molte sono state le ricerche su Google che avevano come keywords "Coronavirus birra corona" o "Virus birra corona", l'azienda si è dunque ritrovata a dover smentire il legame tra la birra Corona e il Coronavirus.
Com’è possibile che la sola assonanza del nome abbia avuto tanto effetto sul fatturato di un brand?
I modelli di analisi del valore economico della marca, o brand equity, sono stati introdotti nella letteratura accademica da Keller e Aaker.
Secondo Keller il fattore strategico fondamentale da prendere in considerazione per lo sviluppo del valore della marca è rappresentato dalla conoscenza che i consumatori hanno del brand (brand knowledge). Questa si fonda su due dimensioni:
- La consapevolezza di marca (brand awareness), che esprime la capacità della marca di essere riconosciuta e richiamata alla memoria dal consumatore,
- L’immagine di marca (brand image), che sintetizza le percezioni sulla marca presenti nella memoria dei consumatori e che si riflettono in associazioni di varia natura alla marca stessa.
Il modello di Keller, definito Customer Based Brand Equity, prende in considerazione il punto di vista della domanda. La forza di un marchio dipende dai clienti, il potere dello stesso risiede nella mente dei consumatori e da quello che hanno appreso su di esso. La forza di un brand dipende dal suo posizionamento competitivo e da come questo è stato costruito nel tempo.
La Corona Extra è tra le birre d’importazione più vendute negli Stati Uniti insieme a Guinness e Heineken. Ciò vuol dire che il posizionamento di questo prodotto nella mente dei consumatori è ben radicato.
E’ evidente che la birra messicana negli anni ha operato molto bene la propria strategia di brand management, tanto che i consumatori hanno costruito un’associazione mentale con il coronvarius, assolutamente poco veritiera, solo per effetto dell’assonanza del nome.
Nella mente dei consumatori, americani per lo più, in riferimento al settore delle birre, la Corona Extra occupa il gradino più alto, definito top of mind. Qual è il rovescio della medaglia?
In questo caso la diffusione del coronavirus, che contiene all’interno del suo nome la parola “corona”, e il forte posizionamento del noto brand nella mente dei consumatori, ha creato quasi inconsciamente un’associazione tra i due, che si è trasformata nella diffusione virale di meme e contenuti ironici.
Tutto questo ci fa riflettere sul fatto che anche i fattori esterni devono essere presi in considerazione dai brand, dato che possono avere sia degli effetti positivi sia, come in questo caso, conseguenze e ripercussioni negative .
Probabilmente tra qualche mese ci ritroveremo al bar o al parco con gli amici a sorseggiare proprio una birra Corona.
#TuttoAndràBene
COVID-19 e l'intelligenza artificiale
di Alessio Artista
Tempo di lettura: 3 minuti
Quello che state leggendo non è il solito articolo sul COVID-19. Nei prossimi due minuti non apprenderete quali sono i sintomi, come evitare il contagio o come relazionarvi con gli altri in un momento molto delicato per l’umanità.
La più recente novità sul coronavirus vede come protagonista la multinazionale cinese Alibaba Group. Vi starete chiedendo quale sia la relazione tra una società che si occupa di commercio elettronico e l’attuale emergenza sanitaria; forse che stanno aiutando l’intera umanità a fronteggiare il coronavirus? In parte la risposta è corretta ma non del tutto soddisfacente. Proviamo a capire di che si tratta.
Alibaba, tramite l’Alibaba Damo Academy, ha trovato una soluzione innovativa per individuare nel minor tempo possibile la presenza del virus nelle persone, oltre all'efficacia già testata con l'apposito tampone. Grazie all’AI (Artificial Intelligence), i medici riusciranno a individuare il COVID-19 in pochi secondi. Questo metodo viene attuato tramite scansioni tomografiche computerizzate (ovvero TAC) che, grazie ad un algoritmo, individuano l’infezione in soli 20 secondi, contro i 5-15 minuti necessari che servono ad un medico per analizzare una TAC, e con un’accuratezza del 96%. Questa nuova macchina è stata “addestrata” con i dati di oltre 5'000 contagiati. Secondo quanto riferisce Alibaba, questo straordinario strumento è già in funzione ed è stato adottato in oltre 100 ospedali cinesi.
L’applicazione dell’intelligenza artificiale al sistema sanitario, come in questa situazione, non è di certo il primo caso; basti pensare ad esempio a Microsoft che sta sviluppando dei computer che permetteranno di combattere il cancro riprogrammando le cellule danneggiate.
L’intelligenza artificiale, inoltre, può essere di supporto per le aziende farmaceutiche nel creare nuovi farmaci come il DPS-1181 (nome attuale) formulato da Centaur Chemist. Centaur Chemist è un approccio ideato da Exscentia, la prima azienda farmaceutica ad automatizzare la scoperta di farmaci, che “trasforma la scoperta di farmaci in una serie formalizzata di mosse e in un sistema per apprendere la strategia dagli esperti umani”. Questo ha permesso di creare in soli 12 mesi un farmaco pronto per essere testato sugli esseri umani, riducendo non solo i tempi di creazione ma abbassando notevolmente anche i costi di produzione.
Tutto questo ci porta a dedurre come oggi l'AI, oltre ad apportare dei validi vantaggi nel campo imprenditoriale ed economico, sia un valido supporto anche per il settore sanitario, che mai come in questo momento ne sente l'esigenza per fronteggiare quanto prima l'emergenza dell'intera umanità.
Questo dovrebbe portarci a dare maggior fiducia alla scienza e alle nuove tecnologie come settore principale a guida dello sviluppo dell'umanità. Ovviamente il cammino non è privo di insidie, ma il progresso scientifico e tecnologico potrebbe risolvere problemi di carattere sociale in tempi minori e con costi contenuti.
Domino’s alla conquista dell’Italia
Tempo di lettura: 2 minuti
Avete mai assaggiato la pizza di Domino’s? Se la risposta è no, allora nei prossimi mesi potrebbe cambiare. Il colosso statunitense ha infatti espresso il desiderio di voler aprire ben 880 sedi nel nostro paese entro il 2030.
Per chi di voi non conoscesse il brand: Domino’s, fondata nel 1960 dai fratelli Tom e James Monaghan in Michigan, è oggi la seconda più grande catena di pizzerie a domicilio degli Stati Uniti e conta più di 16mila ristoranti in 85 paesi diversi, compreso il nostro.
Uno dei suoi maggiori punti di forza è la distribuzione, dalla selezione dei migliori fornitori, all’allestimento del punto vendita, alla selezione e formazione dei dipendenti, nonché l’efficienza del sistema di consegne, che posizionano l’azienda al di sopra dei maggiori concorrenti odierni.
Alessandro Lazzaroni, AD di Domino’s in Italia, ha deciso di acquistare i diritti per l’utilizzo del brand con l’idea di poter esportare la pizza americana sul suolo italiano, offrendo un servizio difficilmente replicabile dalle normali pizzerie: possibilità di ordinare online, di pagare sia in contanti sia con carta, e una consegna veloce e puntuale.
L’azienda è già presente in Italia dal 2015, con la fondazione del suo primo punto vendita a Milano, e poi in altre 7 diverse città, fino ad arrivare a 28 pizzerie tra Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna.
L’espansione intende coprire il territorio compreso tra nord e centro Italia, fermandosi a Roma, il mancato investimento nelle regioni del sud implica diverse ragioni, una tra tutte la difficile penetrabilità del mercato.
Qual è quindi l’obiettivo di Domino’s e perché ha deciso di investire così tanto proprio nel paese dove è stata creata la pizza e ha assunto il valore che ha oggi?
Alessandro Lazzaroni sostiene che:
“Gli italiani amano mangiare bene, ma non sono incatenati alle tradizioni. Piuttosto, sono curiosi di provare cose nuove”, egli è fiducioso sul successo di tale investimento, tanto da prefiggersi l’obiettivo di raggiungere il 2% della quota di mercato delle pizzerie in Italia nei prossimi dieci anni diventando “la prima società digitale di consegne in Italia”.
L’operazione, prevede di suddividere i nuovi e potenziali punti vendita in un 50% franchising e il restante gestiti dall’azienda per arrivare nel 2021 a un rapporto 30%-70%, con un investimento di circa 250 mila euro per punto vendita, 14 impiegati ciascuno, di cui sei corrieri; il focus è stato su questi ultimi, in quanto l’ azienda è stata l’unica multinazionale ad aver sottoscritto la Carta di Bologna, un accordo che prevede la tutela e la regolamentazione di questa posizione lavorativa. È utile riportare alla memoria ciò che accadde nel 2018, quando un altro colosso americano, Starbucks, decise di spostarsi sul nostro paese, i social e la stampa iniziarono ad esprimere i primi dubbi, su come e se questo tipo di catene potessero o meno rovinare e danneggiare l’immagine e la reputazione dei prodotti alimentari del nostro paese, se prima si disquisiva sul caffè e i prodotti da bar, oggi l’attenzione è rivolta alla pizza.
Specialmente su Twitter si notano le prime critiche e i primi dubbi, molti sono scettici e sono convinti che saranno soldi mal investiti, altri sostengono come tale iniziativa possa seriamente ledere il mercato italiano, mentre altri suggeriscono come il governo debba fermare questa espansione tramite regolamentazioni.
I dubbi sono leciti, l’Italia è il paese leader per quanto riguarda cucina e ingredienti di prima qualità e la presenza di questi colossi potrebbero seriamente corrodere il nostro sistema.
È lo stesso Lazzaroni a chiarire la situazione, illustrando come la materia prima utilizzata e le fasi di lavoro siano di altissima qualità, così come gli ingredienti e la fragranza dei prodotti, in particolare Domino’s Italia utilizza solo materie da produttori certificati, e alcuni di questi fanno parte della categoria dei D.O.P., “Denominazione di Origine Protetta”.
Questo tipo di operazione è stata implementata anche in altri paese europei, come Norvegia, Svezia, Irlanda etc., risultando però fallimentare e portando l’azienda a chiudere più di 100 punti vendita per mancati profitti.
Le parti sono schierate e per sapere come si evolverà la situazione non ci resta che aspettare la risposta alla domanda fondamentale: riuscirà Domino’s ad abbattere la tradizione e a conquistare la pancia degli italiani?
Novità in cas(s)a Amazon
di Laura Marina Popa
Tempo di lettura: 2 minuti
Amazon da anni sta investendo in ricerca sui metodi di pagamento; sta lavorando ad un nuovo sistema che permette di acquistare i suoi prodotti attraverso la scansione del proprio palmo della mano e intanto, in Italia, sta testando la possibilità di dilazionare i pagamenti a tasso zero.
Questa funzione era già presente in altri paesi quali, Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Germania.
Per il momento il colosso americano dell'e-commerce non ha ancora diffuso un comunicato ufficiale, ma la notizia appare fondata alla luce dell’opzione presente in riferimento all’acquisto di alcuni prodotti con il metodo “Pagamento a rate mensili” e alla pubblicazione di una pagina sui “Termini e condizioni dei pagamenti a rate”.
L’opzione però presenta dei limiti. Infatti, non solo al momento è disponibile solamente per un campione di utenti, ma anche solo per determinati prodotti:
- Prodotti nuovi (Amazon Warehouse Deals esclusi)
- Dispositivi Amazon nuovi
- Dispositivi Amazon certificati.
Anche l’utente deve possedere una serie di requisiti per acquistare un prodotto su Amazon pagandolo a rate:
- Residente in Italia
- Account it attivo da almeno 1 anno
- “Una buona cronologia di pagamenti su Amazon.it”, come si legge sul sito: vale a dire che occorre aver acquistato spesso sul marketplace
- Possedere una carta di credito o di debito MasterCard, VISA o American Express. Escluse le carte prepagate e il circuito Maestro.
Una volta che si è usufruito del pagamento rateale, non sarà possibile dilazionare ulteriori acquisti finché l'utente non avrà finito di pagare le rate della precedente transazione.
La dilazione di pagamento consiste in cinque rate mensili comprese di Iva e senza alcun interesse o onore finanziario. I costi di spedizione vengono inclusi nella prima rata il cui pagamento avverrà il giorno della spedizione del collo, le successive saranno addebitate ogni 30 giorni a partire dalla prima.
L'utente non può chiedere una suddivisione differente dell'importo da pagare, ma può decidere di saldare in anticipo le rate in qualsiasi momento.
Chissà se Amazon con questa nuova strategia riuscirà a conquistarsi una fetta di mercato più grande di quella che già possiede.
Infatti, è uno dei pochi marketplace che consente di pagare in comode rate il che fa sì che si distingua dagli altri e-commerce, inoltre è provato che questo metodo di pagamento riesce garantisce una maggiore accessibilità ai certe tipologie di prodotti.
Voi ne fate parte di quel campione di utenti che ha accesso a questa nuova modalità? Inserisci un prodotto nel carrello e controlla se compare la dicitura: “Paga in 5 rate mensili da xx,xx €”.
L'Australia brucia. È tempo di salvare il nostro pianeta
di Dario Consoli
Tempo di lettura: 2 minuti
L’Australia brucia. Da oltre quattro mesi le fiamme stanno uccidendo decine di persone e milioni di animali, carbonizzando foreste e rigettando nell’aria tonnellate di CO2. Si calcola che a bruciare sia un area da 6 milioni di ettari, corrispondenti alla Lombardia, al Veneto e al Piemonte messi insieme.
A novembre è stato dichiarato lo stato d’emergenza, ma la stagione degli incendi è in realtà appena iniziata e sembra che il peggio debba ancora arrivare.
Cosa sta succedendo? Quali sono le ragioni dietro a questa catastrofe ambientale?
Attualmente in Australia è Estate e il 2019 si è confermato essere l’anno più caldo e più secco mai registrato dal 1900 ad oggi. Basti pensare che è mancato oltre un terzo della pioggia che solitamente cade sul continente. Nei mesi scorsi, l’incremento delle temperature, misto a siccità e venti forti, ha portato alla diffusione degli incendi, in particolare nel Nuovo Galles del Sud e nel Queensland.
Questa micidiale ondata di calore è stata provocata da una rara combinazione di fattori, come ci spiega in un post, ormai diventato virale su Facebook, Giorgio Vacchiano, ricercatore in selvicoltura e pianificazione forestale dell’Università degli Studi di Milano. Uno di questi fattori è il Dipolo dell’oceano Indiano (IOD), cioè un fenomeno di oscillazione termica delle temperature superficiali dell’oceano indiano, con la componente occidentale della massa d’acqua che può risultare molto più calda di quella orientale. Tale configurazione porta aria umida sulle coste africane e aria secca su quelle australiane. A tale fenomeno se ne sono aggiunti altri due, generando il mix letale: un improvviso riscaldamento della stratosfera, con oltre 40 gradi di aumento nella zona antartica, che ha portato ulteriore aria calda e secca sull’Australia; una fase negativa dell’oscillazione antartica, cioè lo spostamento da nord a sud di una fascia di venti a bassa pressione attorno all’Antartide. Tale fenomeno avrebbe contribuito anch’esso a portare aria calda sul continente.
Si è vero, stiamo parlando di fenomeni naturali. Ma le condizioni estreme con le quali si sono presentati si legano inequivocabilmente ai cambiamenti climatici provocati dalle eccessive emissioni di CO2 nell’aria da parte dell’uomo.
Richard Betts, responsabile della ricerca sugli impatti climatici presso il Met Office Hadley Center, ha spiegato che “la temperatura media in Australia è di circa 1,4° C più calda rispetto alla temperatura media globale nel periodo preindustriale” e che “le temperature a dicembre in Australia, che si sono verificate di recente, sono estreme per ora, ma sarebbero normali in un mondo con un riscaldamento che aumenta di 3 gradi”. Il clima favorevole agli incendi si presenta naturalmente, ma sta diventando più severo e diffuso a causa dei cambiamenti climatici. Limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2° C contribuirebbe ad evitare ulteriori aumenti del rischio di condizioni meteorologiche estreme.
Ecco perché il governo australiano viene accusato come principale responsabile di queste catastrofi. L’Australia ha ottenuto il peggior punteggio assoluto nella valutazione della politica climatica da parte del Climate Change Performance Index del 2020. È inoltre uscita dagli accordi di Parigi e ha cancellato la Garanzia Energetica Nazionale, un programma che avrebbe dovuto ridurre le emissioni di Co2.
Il problema principale risiede nella natura dell’economia australiana, che ruota attorno all’esportazione di carbone, un combustibile fossile la cui estrazione non è compatibile con il raggiungimento degli obiettivi di Parigi per contenere la temperatura della Terra.
La realtà è comunque molto più articolata e complessa, ed ammettere che i veri responsabili di queste catastrofi ambientali siamo un po' tutti è sicuramente più difficile che puntare il dito contro il primo ministro Morrison o chi lo ha eletto. La produzione di energia, il riscaldamento domestico, l’agricoltura e l’allevamento intensivo, i trasporti, la deforestazione, sono tutte attività svolte nel mondo che contribuiscono all’aumento di CO2 nell’atmosfera e di cui siamo responsabili tutti.
Quelli australiani sono solo alcuni dei sintomi più lampanti del futuro a cui stiamo andando incontro. Un futuro fatto di stravolgimenti, di morte e distruzione provocati dall’impatto che stiamo avendo sul nostro pianeta e del quale non sembriamo proprio voler renderci conto. Nascondere la testa sotto la sabbia però, in caso di incendi, allagamenti o siccità, non ci permetterà di aver salva la vita.
Il problema del cambiamento climatico è una realtà ed è tempo di agire seriamente.
Tutti noi possiamo dare una mano, soprattutto attraverso donazioni a distanza da effettuare a una delle tante associazioni impegnate nel contenimento degli incendi:
Ricerca di volontari sul posto
Chi volesse offrire il proprio contributo a favore della fauna selvatica può invece rivolgersi a una delle numerose associazioni animaliste che si stanno occupando di soccorrere e salvare gli animali feriti dagli incendi:
Esselunga: il nuovo concept di superstore a Brescia
di Ketty Ilacqua
Tempo di lettura: 3 minuti
Esattamente dopo 62 anni dall’inaugurazione del primo supermercato Esselunga, quello di viale Regina Giovanna, a Milano, apre il superstore di via Triumplina a Brescia. Così Sami Kahale, il Direttore Generale della S.p.A, Gabriele Villa, Direttore Commerciale e di Produzione e Roberto Selva, Chief Marketing e Customer Officer, hanno guidato i giornalisti nell’ampia superficie del nuovo punto di vendita, mostrando loro la forte innovazione dello stesso.
Infatti in questi 4.600 metri quadri di superficie, la prima area in cui il consumatore viene accolto non vede presenti le casse, ma un unico grande settore definito da Kahale come “food center integrato”, composto in sequenza dal Bar Atlantic, con la caffetteria, il banco take away e la cucina a vista in cui è possibile osservare la preparazione delle ricette Esselunga; la pasticceria Elisenda, che offre una linea di dolci di alta qualità creati in collaborazione con i fratelli Cerea, proprietari del ristorante stellato Da Vittorio; il reparto Pane e Dolci con panificatori che impastano e sfornano pane e focacce durante l’intera giornata, e la Gastronomia dove ogni giorno vengono cucinate numerose ricette.
Vera rivoluzione del punto vendita è l’eliminazione di un percorso obbligato. Difatti è stato creato un percorso veloce che si addentra nell’area vendita e che inizia dal reparto dell’ortofrutta, girando praticamente intorno al food center integrato, quindi passando per il banco del pane, un corridoio dedicato ai freschi, fino ad arrivare alla gastronomia e poi concludersi alla barriera casse. Frutta e verdura la vediamo collocata in espositori bassi che ricordano il classico banco del mercato rionale, oltre al fatto che la stessa proviene da produttori locali e permette di avere una filiera corta, basata sul localismo. Troviamo poi insalate complete, macedonie e estratti o sandwich per soddisfare il bisogno di una pausa fresca e veloce.
Questa attenzione ai freschi e freschissimi si rivede anche nella pescheria con personale che offre pesce fresco e già pulito. Tutto ciò valorizza il concetto di food company su cui l’azienda ha deciso di puntare.
Altra caratteristica dello store è quella della creazione di veri e propri “shop in shop”, quali la Parafarmacia, il reparto Surgelati che si configura come un percorso semi-chiuso, l’area dedicata al Pet Food e l’Enoteca, ampiamente fornita e dotata di un “sommelier virtuale” che aiuta il consumatore nella scelta. A stagliarsi al centro del punto vendita infine, una corsia trasversale dedicata alle promozioni: questa divide diagonalmente il punto vendita, rendendo le promo diffuse in tutti i reparti.
Per venire incontro alla richiesta di una spesa veloce sono state inserite casse sia tradizionali che self-scanning e self-payment, oltre al punto Clicca e Vai che permette di ordinare la spesa online e ritirarla direttamente in macchina senza nessun costo aggiuntivo.
E la sostenibilità? Esselunga ha pensato anche a questo, e lo ha fatto tramite l’eco-compattatore di bottiglie in plastica Pet posto nell’area ecologica, che ricompensa i clienti tramite un buono spesa di 0,10 euro ogni 10 bottiglie conferite. Inoltre non è stato tralasciato l’aspetto legato al risparmio energetico, per cui sono state adottate innovative soluzioni tecnologiche, che permettono di soddisfare i requisiti per la certificazione in classe energetica A.
Barilla, Ferrero e le dolci strategie di marketing
di Riccardo Rocco Tornesello
Tempo di lettura: 2 minuti
Dopo la febbre dei Nutella Biscuits da gennaio arrivano i Biscocrema: Barilla e Ferrero sono ufficialmente pronte per una nuova sfida.
Il clamoroso successo di Ferrero, che a poche settimane dal lancio ha trasformato i propri biscotti in un vero e proprio fenomeno di costume, ha imposto a Barilla una replica immediata. Per rispondere al fenomeno dei Nutella Biscuits, il gruppo emiliano lancia i Biscocrema, una frolla al cacao con all’interno un cuore di crema Pan di Stelle, ricoperto da una cialda di cioccolato su cui è apposta l’iconica stella.
Un ‘’gioiellino’’ che debutterà sugli scaffali della GDO dal prossimo gennaio, andando a rafforzare ulteriormente l’offerta di Barilla a solo un anno dal lancio della sua crema.
Nonostante per Julia Schwoerer, Vice President Marketing di Mulino Bianco, i Biscocrema non rappresentino una risposta alla competizione con Ferrero bensì una naturale estensione di marca, la sfida è titanica. ‘’Non vogliamo fare la guerra dei numeri né delle quote, noi siamo leader di mercato con il 37% di quota valore’’ ha dichiarato la stessa Schwoerer in occasione della presentazione del biscotto, augurandosi che questa attività contribuisca a far crescere la categoria in modo sano. Barilla, infatti, ha deciso di colpire il proprio competitor mirando ai suoi punti deboli: il nuovo biscotto sarà venduto in monoporzioni da due per limitare le calorie e sarà prodotto senza olio di palma, come tutta la linea Pan di Stelle.
Vi è proprio l’olio di palma all’origine delle ostilità tra le due multinazionali italiane. Nell’estate del 2016, Barilla elimina l’olio di palma dai propri prodotti e lo scrive a caratteri cubitali sulle confezioni dei suoi brand simbolo, tra cui la stessa Pan di Stelle. Una mossa a sorpresa, in quanto fino ad allora Barilla aveva seguito la linea delle altre società italiane, contrastando il clima avvelenato intorno all’olio di palma attraverso una campagna di rassicurazione nei confronti dei propri clienti, i quali hanno iniziato ad interrogarsi sulla qualità di ciò che mangiano e sui rischi per la propria salute.
Tornando alla mania dei Nutella Biscuits, si stima che nelle prime tre settimane dal lancio siano stati venduti 57 milioni di biscotti, per un fatturato che ha già superato la soglia degli 8 milioni di euro. Mantenendo questi ritmi di vendita, si stima che il colosso di Alba potrebbe abbondantemente superare i 130 milioni, oltrepassando così il prefissato obiettivo degli 80 milioni di fatturato. Stando ai numeri di Barilla però, i biscotti più venduti al momento sono le Gocciole di Pavesi (gruppo Barilla), mentre al secondo posto c’è Pan di Stelle. La neonata Crema Pan di Stelle invece, diretta concorrente di Nutella, ha conquistato “una quota di mercato del 7,5% in valore”, facendo crescere l’intera categoria delle creme spalmabili dell’11%.
Certo, ‘’Se tutte le guerre fossero fatte di biscotti il mondo sarebbe migliore’’ e, nell’attesa di scoprire chi vincerà la battaglia commerciale sugli scaffali, non ci resta che affrettarci ad appendere la calza sopra al camino.
Sergio Mattarella inaugura l'Anno Accademico a Parma
di Erica Lo Verso e Nunzio Salvatore Minissale
Tempo di lettura: 3 minuti
Sostenere l'utopia è un dovere morale.
Giornata di grande emozione venerdì 29 novembre a Parma, dove una platea di autorità, docenti, studenti e semplici cittadini si è riunita presso l’Auditorium Paganini per celebrare, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’inizio dell’Anno Accademico.
Era dal giugno 2018 che Parma non ospitava la più Alta Carica dello Stato: comprensibile quindi la massiccia risposta della città, con i posti disponibili in platea esauriti in pochissime ore. L’attesa per l’ingresso del Capo di Stato si è sciolta in uno scrosciante applauso da parte degli 800 presenti, mentre il PdR veniva accolto al proprio arrivo dal sindaco Pizzarotti, dal Presidente della Regione Bonaccini e da quello della provincia Rossi.
Ripercorriamo passo dopo passo i momenti salienti della giornata: dopo la proiezione di immagini legate a varie esperienze di cui è stato protagonista l’Ateneo, la Cerimonia è iniziata ufficialmente con la consegna della Mazza Rettorale dell’Università di Parma da parte di Edoardo Scotti (giovane matricola di Biologia e campione europeo under 20 dei 400 metri piani); si sono poi susseguiti - intervallati dai canti del Coro Universitario “Ildebrando Pizzetti” (diretto dal maestro Ilaria Boldi) - l’ingresso del Corteo Accademico, dove erano presenti rappresentanti di diversi Atenei, e quello degli ospiti principali della giornata: Yuri Ferrari (Presidente del Consiglio degli Studenti), Rita Ollà (Presidente del Consiglio del Personale tecnico-amministrativo), Enrico Giovannini (Professore ordinario di Statistica Economica e Portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). In ultimo, l’ingresso del Magnifico Rettore Paolo Andrei ha preceduto di qualche istante quello dell’ospite più atteso, prima che la cerimonia cominciasse con l’esecuzione dell’Inno di Mameli.
Il tema principale della giornata ha senz’altro riguardato la sostenibilità ambientale, ma, durante la Cerimonia, non sono mancati i riferimenti all’importante ruolo dell’Ateneo nel contesto socio-economico territoriale e nazionale. In particolare, il Presidente della Provincia Diego Rossi e il sindaco Federico Pizzarotti hanno sottolineato da una parte i punti di forza del territorio riguardanti la presenza di alcuni settori produttivi trainanti e l’attrattività dell’Università, dall’altra la necessità di integrare il tema della sostenibilità in ogni ambito. Il Presidente regionale Stefano Bonaccini ha dato forza a questi aspetti riportando dati significativi (ad esempio l’aumento del 30% delle iscrizioni nelle quattro Università emiliane) e indicando i tre pilastri per la crescita sostenibile: manifatture, turismo e cultura. Ultimo (ma non meno importante) punto evidenziato riguarda l’importanza del tema dell’innovazione tecnologica, digitale e robotica.
Nel proprio intervento, il Rettore Paolo Andrei si è interamente focalizzato sulla questione dello sviluppo sostenibile nel contesto di Ateneo "Non è un caso - ha spiegato - che proprio la sostenibilità sia il tema cardine scelto per quest'anno, dal momento che in questa direzione l'ateneo sta facendo passi importanti. Per la prima volta nel Piano strategico di ateneo 2020-2022 è stata dedicata un'intera area strategica trasversale allo sviluppo sostenibile, e per la prima volta è stato realizzato un rapporto di sostenibilità dell'ateneo di Parma, base di partenza per una nuova politica di azioni e di sviluppo sostenibile di tutta la comunità accademica, che sarà presentato a inizio dicembre in aula Magna". Questi risultati sono stati ottenuti basandosi su altri tre pilastri interdipendenti: centralità degli Studenti, rafforzamento del capitale umano e interazione con la Società. La Commissione Esperti di Valutazione Anvur nel 2019 ha collocato l’Università di Parma nella Fascia A e col punteggio più alto a livello nazionale, per cui il Rettore ha commentato tale risultato evidenziando due elementi di grande soddisfazione: “la passione e l’impegno di tutti coloro che hanno lavorato per il conseguimento di questo risultato” da un lato, e “l’apprezzamento dei valutatori per un’Università ricca di saperi diversi, che trova nella complessità non un limite ma una ricchezza” dall’altro.
In seguito, si sono avvicendati sul palco il Presidente del Consiglio degli Studenti Yuri Ferrari e il Presidente del Consiglio del Personale tecnico-amministrativo Rita Ollà: il primo è stato portavoce di numerosi spunti di riflessione per la politica nazionale, affrontando il tema della centralità del diritto allo studio, le varie criticità che ancora oggi molti universitari, specialmente fuori sede, sono costretti ad affrontare, la necessità di una proficua collaborazione che permetta il continuo sviluppo e progresso dell’Ateneo, augurando infine agli studenti di “vivere l’Università come una seconda casa, non solo come luogo di impegno [...] ma anche come il luogo dove poter coltivare le passioni e vivere momenti indimenticabili”; la seconda ha rivendicato con orgoglio il risultato raggiunto dall’Università in seguito alla valutazione Anvur, reso possibile anche grazie al lavoro dell’organo che rappresenta, che ogni giorno con passione e impegno permette di svolgere le attività principali di didattica, ricerca e terza missione e di veicolare anche esternamente la cultura, contribuendo così all’accrescimento della società. Ha dichiarato inoltre che gli organi dell’Ateneo sono pronti a raccogliere la nuova sfida della sostenibilità diventando protagonisti attivi del cambiamento, relativamente all’uso consapevole e sostenibile di acqua ed energia, mobilità e gestione responsabile dei rifiuti. Infine ha sollevato al Presidente la necessità di rafforzare le normative attuali.
Come da programma, la proclusione è stata affidata al Professor Enrico Giovannini, che è intervenuto sul tema “Salvare il pianeta e salvare l’umanità. Utopia o dovere morale?”: dopo una lucida analisi storica sugli “errori” commessi dalla Società moderna, che ha impattato sull’ambiente in maniera devastante, il Portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile ha lanciato il proprio appello: “Gli esperti chiamano questo periodo “l’antropocene”, ovvero la prima era geologica le cui condizioni sono determinate dall’uomo”; per il futuro, secondo Giovannini, ci sono dunque 4 alternative: credere che il modello di oggi possa ancora funzionare (sbagliando), cercare di accumulare ricchezze “per permettersi un bunker in nuova zelanda” (una palese provocazione), credere a una visione “retrotopica” dove, a parere dell’esperto “torniamo al passato, ai muri, alle divisioni” o infine credere e agire per una visione “utopica”, sostenibile, “come le nuove generazioni ci chiedono di fare”. Quale progresso vogliamo? sta a noi sceglierlo. Il principio di base dello sviluppo sostenibile è l’integrazione. Bisogna essere etici, che non significa buoni, ma razionali, per riuscire a definire comportamenti giusti, leciti. Disponiamo di un’etica dello sviluppo sostenibile? Stiamo veramente dando a tutti pari opportunità, come auspicato dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile? Con queste due questioni, Giovannini conclude il suo accorato intervento: "Proponiamo di inserire in Costituzione proprio il principio dello sviluppo sostenibile come giustizia tra generazioni. Non è una questione dell'ambiente che è già coperto dall'articolo 9, ma è qualcosa che garantisce le nuove generazioni dai danni e dagli errori come quelli che continuiamo a fare anche in questi giorni".
La prima risposta ai quesiti lanciati è arrivata, inevitabilmente, dal Capo di Stato. Salito sul palco per un breve intervento non programmato, Mattarella ha sottolineato "l'importanza degli obiettivi fissati dall'Agenda 2030 dell'Onu e l'importanza dell'obiettivo che si è data la nuova Commissione dell'Ue con l'intendimento dichiarato di fare dell'UE per il 2050 una realtà neutra dal punto di vista ambientale, una realtà che non contribuisca più in alcuna misura anche minima all'inquinamento del globo. È un obiettivo impegnativo, non semplice ma possibile, da sostenere in ogni modo". Prima di lasciare la sala tra gli applausi, il Presidente ha invitato a seguire la strada dell’utopia, poiché "tra utopia e dovere morale c'è una strettissima connessione". Ha inoltre rivolto un augurio a tutta la città, ribadendo come l’inaugurazione fosse "l'anticipazione di quello che fra poco più di un mese Parma vivrà come capitale italiana della Cultura, appuntamento che vedrà l'ateneo ricoprire un ruolo centrale". Il Capo di Stato tornerà infatti a Parma a gennaio 2020 per dare il via ufficiale all'anno della città come capitale italiana della cultura.
Al termine dell’evento, il PdR ha ricevuto l’affetto di alcune classi elementari, che lo hanno accolto all’uscita dall’Auditorium con striscioni, cartelloni e bandiere tricolore. Soddisfatto il sindaco Pizzarotti: ”Mattarella ritornerà ancora a Parma, è un bel riconoscimento per la città. Si tratta di un’istituzione molto vicina ai sindaci, questo ci fa piacere. La città ha risposto benissimo, sono convinto che il 12 gennaio sarà un altro momento memorabile.”
Talents In Motion: verso il talento
di Samuela Maggio
Tempo di lettura: 3 minuti
“Il talento si muove, muoviamoci verso il talento”
È così che Milano ha accolto il Team di Oikosmos nella giornata di giovedì 14 novembre 2019. Dall’immensa UniCredit Tower Hall, ha avuto inizio Talents In Motion, primo di una serie di incontri, in collaborazione con UniCredit, volti ad avvicinare le aziende e le sue opportunità ai giovani e, in particolare, agli studenti universitari.
Si tratta di un progetto di social responsibility che promuove la circolazione del talento, affinchè quest’ultimo non emigri all’estero, fenomeno ormai sempre più frequente. Talents In Motion, infatti,
Nasce con associazioni, aziende, ma soprattutto con voi. Voi siete il nostro obiettivo.
Patrizia Fontana, President & Founder
Il piacevole convegno, a cui abbiamo avuto l’onore di partecipare, ha trattato in particolar modo le “COMPETENZE 4.0”, evidenziando le skills del successo e come le competenze si evolvono insieme al tempo.
Le digital skills sono, senza dubbio, tra i requisiti più richiesti; tuttavia, oggi vi è una forte e crescente necessità di soft skills, andate quasi perdute o sottovalutate.
Capacità di risolvere i problemi, abilità di far fronte alla complessità e comunicazione sono le top 3 soft skills mancanti.
Paolo Lucarini, PWC
Dati e numeri ci hanno mostrato come e quali cambiamenti sono avvenuti nel corso del tempo nell’ambito della ricerca del personale.
20 anni fa per entrare in banca bastava saper eseguire un comando, oggi si misura la creatività delle persone, quanto sappiano pensare in maniera diversa e proporre delle soluzioni diverse rispetto a quello che si richiede.
Pietro Campagna, UniCredit Co-Head Global Transaction Banking Italy
Per stare al passo con il mondo di oggi, in continua e profonda trasformazione, la chiave del successo è combinare diverse capacità, sviluppando intelligenza emotiva, flessibilità di apprendimento, agilità innovativa e attitudine collaborativa.
Il mondo con il quale ci confrontiamo propende al rischio. Le persone dovranno pertanto combinare abilità finora ritenute indipendenti. Chi si ferma nell’apprendimento è perduto.
Fausto Palumbo, Direttore HR Nestlè
In particolar modo, l’evento ha toccato la realtà delle start-up, formidabili veicoli che portano innovazioni alle aziende già mature perché in grado di vendere proposizioni di valore. Tuttavia, non sempre le operazioni vanno per il verso giusto, a causa di molteplici e diverse ragioni.
La start-up è una fase, un laboratorio di innovazione. Uno strumento fatto per fallire a basso costo, ma che lascia una grande esperienza di gestione, che genera valore anche se produce un fallimento.
Claudia Pingue, General Manager Polihub
Qual è, quindi, l’ingrediente per dare il via ad una start-up? Cosa non può mancare?
Ci vuole coraggio, passione e capacità di ascoltare chi hai di fronte.
Enrico Viganò, CEO & Founder FindDynamic
Soprattutto, però…
Se abbraccerete l’idea di una start-up, fatelo per voi. Non sentitevi obbligati, ma sentitevi voi stessi.
Stefano Musso, Utego
Con energia, approccio creativo, organizzazione e dedizione, non può che avvenire il salto di qualità da start-up a grande azienda; ne è stata esempio “Caffeina”, un player che fa dell’italianità un vantaggio e un valore. Organizzata in team multidisciplinari, chiamati Hexa Team, Caffeina ha ribadito i valori che hanno portato al suo sviluppo:
Abbiamo scelto di partire dai nostri valori fondamentali: impatto, ottimismo, fiducia, cambiamento e talento.
Henry Sichel, President & Founder Caffeina
Ad ogni modo, in qualunque situazione e circostanza, Talents In Motion e i suoi ospiti ci hanno lasciato insegnamenti importanti e profondi, ci hanno dato i giusti input affinchè il futuro non risulti poi così spaventoso, imponente ed irraggiungibile.
Fate gli imprenditori, provate. Il trampolino alto fa paura, ma quando sei in acqua è fighissimo. Si fallisce, si sbaglia, ma siamo in un mondo in cui si ricicla qualsiasi cosa. Impariamo a riciclare l’esperienza!
Marco Gay, Amministratore Delegato Digital Magics
Ci hanno incoraggiato a non mollare, perché solo crederci sempre fa sì che le cose accadono.
Abbiamo appreso che fare gruppo e creare coesione è fondamentale, e ci siamo emozionati ad analizzare il nostro team stesso, vera e propria testimonianza di come dei semplici colleghi possano davvero diventare una famiglia.
Non si fa business con i propri amici, ma si diventa amici lavorando.
Roberto Macina, CEO & Co-Founder Ufirst
La chiave del successo è il come, è il modo con cui ci interfacciamo alle vicende, alla realtà, alla vita.
La differenza sta nel come noi affrontiamo quotidianamente le cose. Portiamo un bel sorriso nelle nostre aziende e faremo una start-up ogni giorno. Andiamo a vincere!
Roberto Zecchino, Vice President Human Resources and Organization BOSCH South Europe