di Francesca Bisi
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“L’impresa può creare felicità?”
Questo è il grande interrogativo che ha caratterizzato la giornata del 27 marzo in Dallara Academy in occasione della pubblicazione del libro “Creazione di lavoro nella stagione della quarta rivoluzione industriale. Il caso dell’Emilia-Romagna” a cura di Stefano Zamagni, docente di Economia Politica all’Università di Bologna e Adjunct Professor of International Political Economy alla Johns Hopkins University di Bologna, con la prefazione di Mons. Matteo Zuppi.
Il libro è nato dal bisogno di interpretare l’ambiente che ci circonda: l’avvento delle nuove tecnologie ha inevitabilmente cambiato “l’idea stessa di lavoro, le relazioni interpersonali, i modelli culturali, il rapporto uomo-natura” ed è compito dell’uomo saper reagire con saggezza. In particolare, il contesto di riferimento che prende in considerazione l’autore riguarda gli ultimi vent’anni in Emilia-Romagna e l’impatto della rivoluzione digitale nel mondo del lavoro.
“Dallara Academy nasce dall’idea che l’imprenditore vuole restituire al territorio parte di quello che gli ha dato”
Stefano Zamagni, Docente di Economia Politica dell’Università di Bologna
La scelta del luogo non è stata casuale perché Dallara è un esempio tangibile di un’impresa ad impatto sociale “che si cura di togliere i viluppi che impediscono alla società di crescere grazie ad un progetto di sviluppo in sinergia con il territorio”, ha spiegato Stefano Zamagni.
Nella giornata tanti sono stati gli ospiti che hanno partecipato alla discussione del libro tra cui Sara Rainieri, Pro Rettrice alla Didattica dell’Università di Parma, Giampaolo Dallara, Presidente di Dallara, Franco Mosconi, docente di Economia industriale all’Università di Parma e co-autore del volume, e Andrea Pontremoli, Amministratore delegato e Direttore generale di Dallara.
Il primo intervento è stato fatto dal professore Franco Mosconi, che ha collaborato per la stesura del primo capitolo sulla manifattura, in cui ci ha parlato della vocazione dell’imprenditore come figura capace di seguire il bene comune e rendere accessibili a chiunque i beni di questo mondo.
Questa immagine di imprenditore prende vita proprio in Emilia-Romagna, grande area di manifattura avanzata che guarda ai mercati internazionali grazie alla forte struttura tecnologica costruita negli anni.
“È il lavoro che deve essere sempre pensato per l’uomo.”
Franco Mosconi, Docente di Economia Industriale all’Università degli Studi di Parma
“Il lavoro si crea, lo creano le imprese e non si redistribuisce”, questa è una importante lezione che la regione Emilia-Romagna ha interpretato alla perfezione nella ricerca di un dialogo tra le reciproche competenze per trovare risposte efficaci e innovative per tutti.
La discussione poi è continuata con il Pro Rettore Sara Rainieri, in rappresentanza dell’Università degli Studi di Parma. La parola chiave per affrontare il mondo del lavoro è multidisciplinarietà per offrire agli studenti le giuste competenze per adattarsi alle sfide di questa rivoluzione che sta emergendo.
“È solo dialogando in maniera costante con le aziende che possiamo capire bene quali sono le competenze e i modi di formare i giovani.”
Sara Rainieri, Pro Rettore alla didattica dell’Università degli Studi di Parma
Sara Rainieri ha parlato del coraggio di non essere sempre tradizionalisti, ma di investire in verticale e Dallara è uno di questi esempi con la sua Academy che forma ogni giorno molti studenti.
Sul tema del lavoro si è poi soffermato l’ingegnere Giampaolo Dallara che ha raccontato l’evoluzione della società italiana in cui “le persone vivevano per sopravvivere” ad un futuro in cui prevedono “che l’uomo lavorerà l’1% del suo tempo”. Il grande problema è quello di garantire una dignità alle persone tramite il lavoro, “capire come organizzarlo in maniera diverso”.
Per Giampaolo Dallara sono i giovani che devono guidare questo cambiamento. È un invito a pensare in un altro modo a come potrebbe svilupparsi la società, ossia dove le persone si preoccupano degli ultimi e vivono il lavoro non solo come produzione di beni, ma anche al servizio della comunità.
“Il problema non è il tempo libero che avremo, il problema è il lavoro degli altri”
Giampaolo Dallara, Presidente e Fondatore Dallara
La parola poi è passata al CEO di Dallara, Andrea Pontremoli, che ha immediatamente constato la differente visione di obiettivi tra il manager e l’imprenditore: il primo lavora per gli obiettivi definiti dal consiglio di amministrazione, il secondo vede l’azienda come un “figlio”. L’imprenditore moderno deve poter creare un futuro dove “questo suo figlio stia sempre meglio”, pensando non solo al successo dell’azienda, ma anche al futuro del territorio dove opera.
“Strategia non vuol dire pensare adesso a quali decisioni dovremo prendere in futuro, ma vuol dire quali decisioni prendo adesso per cambiarlo.”
Andrea Pontremoli, CEO Dallara
Dallara con la sua Academy punta tutto sulle nuove generazioni con l’obiettivo di formarle e aiutarle a costruire le competenze necessarie a gestire e disegnare il futuro. Futuro che è il risultato delle nostre scelte, non di proiezioni matematiche, è un cambio di prospettiva in cui le persone diventano sempre più consapevoli che “il futuro più facile da predire è quello che provi a costruire”.
Infine, la giornata si è conclusa con l’intervento dell’autore del libro, Stefano Zamagni, che ha risposto all’interrogativo: “L’impresa può creare felicità?”.
La sua riflessione è partita dalla constatazione che c’è sempre di più una concezione “petrolifera” del lavoro: il lavoro assimilabile ad una miniera e al quale si può attingere al bisogno. Questo è un grave errore di valutazione perché non si cerca lavoro, il lavoro si crea. In Italia questa mentalità è frutto della concezione neo-statalistica, secondo cui è lo Stato che crea il lavoro, quando invece lo Stato deve favorire la creazione di lavoro da parte dell’impresa.
Per Zamagni un buon imprenditore deve avere tre caratteristiche: la propensione al rischio, la capacità di innovare e possedere l’arte della combinazione.
La prima non significa essere temerario, ma significa agire pur non sapendo dove andrà finire; la seconda parla dell’importanza di avere il coraggio di rompere gli schemi e di cercare sempre nuove soluzioni; infine, la terza è l’idea dell’imprenditore come un “direttore d’orchestra” che conosce i propri dipendenti e li sa mettere in armonia.
Anche il rapporto tra manager e imprenditore è un nodo cruciale: sono due figure diverse che rischiano spesso di entrare in conflitto e questo è una grave pericolo, in quanto devono imparare ad “andare alla stessa velocità” e lavorare in sinergia.
Che ruolo ha la scuola in questa trasformazione? Scuola e lavoro vengono troppo spesso poste come alternative, quando invece devono convergere. Ecco perché, secondo l’autore, bisogna tornare a parlare di educazione, partendo dalla fondamentale distinzione tra istruire ed educare. Istruire vuol dire mettere dentro la testa concetti, nozioni che crea soggetti sempre più bravi a risolvere problemi di scelta in cui si è chiamati a selezionare un’opzione tra tante di cui si conoscono tutte le caratteristiche. Educare invece è l’esatto contrario, significa tirare fuori le competenze che permettono di essere inserirti nella realtà e risolvere problemi di decisione in cui non si sanno le caratteristiche delle opzioni che si hanno di fronte. L’università deve tornare ad avere compiti educativi, non solo istruttivi.
Questo è stato l’obiettivo della ricerca che ha portato alla stesura di questo libro: capire come l’impresa civile può operare al meglio nel territorio. Non basta occuparsi di far funzionare bene l’azienda, ma essa deve preoccuparsi anche che nel territorio ci sia un progetto di sviluppo umano integrato, questa dovrebbe essere la sua vera missione.
L’impresa può quindi creare felicità? Si, può farlo se l’impresa diventa il luogo “dove si forma il carattere umano e ha di mira la felicità delle persone che ci lavorano e del contesto circostante”.
L’impresa non deve operare in un “deserto sociale”: nel crescere deve considerare non solo la dimensione quantitativa, ma anche quella spirituale. Lo scopo di fare impresa è “consentire alle persone di fiorire, sbocciare”.
“Quando il sole tramonta, quando le cose si fanno difficili, non piangere. Perché le lacrime ti impedirebbero di vedere le stelle.”
Rabindranath Tagore, Premio Nobel per la letteratura nel 1913
Una di queste stelle è proprio “il network delle imprese che rappresentano il modello della via Emilia” conclude Stefano Zamagni.
Vuoi ripercorrere i momenti salienti della giornata? ecco qui il video “BEST OF”: