di Anna Lo Coco
tempo di lettura: 4 minuti
Vinitaly nasce nel 1967 ed è il Salone Internazionale del vino e dei distillati più grande al mondo. Si svolge ogni anno a Verona ed è rivolto agli appassionati e agli operatori specializzati.
Vinitaly 2019 si svolgerà dal 7 al 10 aprile ed accoglierà più di 4000 espositori provenienti da tutta Italia e da paesi esteri. Ci saranno degli spazi dedicati esclusivamente alla degustazione di vini bianchi, rossi e di spumanti, in cui verranno presentate anche produzioni internazionali. Inoltre, ci sarà un corso dedicato ai vini biologici certificati.
Possiamo dunque affermare che Vinitaly rappresenta la vetrina del vino italiano, poiché le aziende comunicano, sia all’interno sia all’esterno, i propri valori e le proprie scelte proponendo le novità.
In occasione di questo evento abbiamo pensato di approfondire il tutto con David Ramirez, Marketing Specialist di Gruppo Food.
Cosa significa partecipare al Vinitaly?
“Partecipare a Vinitaly, per chi lavora nel settore, è un modo per confrontarsi con una platea internazionale sui temi della filiera e del business enologico, ed è quindi un appuntamento imprescindibile, non solo per le aziende produttrici che hanno così l’occasione di promuoversi, ma per tutti gli operatori che desiderano restare aggiornati sui temi di attualità, i trend dei diversi mercati e dei diversi canali, nonché per partecipare a percorsi di formazione” afferma David Ramirez, che continua “Vinitaly ha saputo creare attorno al business del vino made in Italy un vero e proprio portafoglio di eventi ed enti che, ruotando attorno ai diversi aspetti che caratterizzano il settore, ne hanno sancito il successo e l’internazionalizzazione”.
Quali sono le tecniche per far capire il valore/qualità di un determinato vino rispetto ad un altro?
“Il vino è un bene estremamente complesso, e per il consumatore medio (non appassionato) questo si traduce in una problematicità al momento dell’acquisto. Basti pensare al fatto che oggi in Italia sono presenti oltre 500 denominazioni differenti tra DOP e IGP, ognuno con le proprie caratteristiche e i suoi disciplinari di produzione da seguire. Farsi strada tra questa varietà di scelta così ampia è un compito cognitivamente impossibile e si va incontro a quello che in marketing è definito “information overload”. Finisce spesso che in punto vendita, se non intervengono appigli emotivi o neurali (anche in mondo enologico si comincia finalmente a parlare di neuromarketing) alle denominazioni o più spesso alle etichette, è quasi ovvio che il prezzo diventa driver di scelta, puntando a certe fasce in relazione all’occasione di consumo.
Non è certo sbagliato questo approccio, ma non tiene conto e non dà merito al reale valore intrinseco del vino – che può non avere a che fare con il prezzo.
Ad oggi internet e le molte app aiutano a mitigare questi gap informativi, tuttavia si tratta sempre di azioni attivate dal cliente stesso, mentre manca spesso una logica push da parte di aziende e rivenditori. Nei punti vendita specializzati (come nelle enoteche) questo problema viene risolto dagli addetti, ma non sempre è così (basti pensare alla GDO).
Si tratta perciò essenzialmente di un gap informativo e di comunicazione, e le possibilità per diminuirlo non mancano, ma ci vuole impegno lungo la filiera e, non ultimo, da parte del Trade” – David Ramirez, Marketing Specialist di Gruppo Food
Qual è la differenza tra pubblicizzare un vino piuttosto che un altro prodotto?
“Innanzitutto, credo che sia importante, anche in questo caso, fare una differenza tra comunicazione e pubblicità. Per fare un’analogia, forse un po’ azzardata (non me ne vogliano i produttori che mi leggono) ma che aiuta a inquadrare il punto, si potrebbe confrontare a livello di marketing il settore del vino con quello delle automobili. Di automobili ci sono le categorie in base a specifiche caratteristiche strutturali, ci sono i brand, ci sono scale prezzo molto ampie e ogni fascia con le proprie differenze interne; allo stesso modo nel vino si possono ritrovare attributi concettualmente simili, ma a mio parere con una dimensione di complessità maggiore (denominazioni, metodi di produzione, origine, certificazioni, regioni, consorzi, anno e invecchiamento, temperature di servizio, bicchieri adatti, abbinamenti, etc.), certo a fronte di valori monetari unitari molto minori (fattore che si rapporta comunque al diverso orizzonte temporale di “utilizzo del bene”).
Con qualche veloce confronto è possibile verificare come i frame psicologici con i quali vengono pubblicizzate queste due diverse categorie siano simili: chi utilizza valori emotivi (libertà, spensieratezza, divertimento, “coolness”), chi origini (autenticità, appartenenza al territorio, valore dell’origine), chi dimensioni cognitive (utilità, semplicità, comodità).
La pubblicità del vino deve quindi cercare di essere sempre più ancorata alle dimensioni più vicine a quelle dell’azienda e del vino in questione, studiata in base al target di riferimento, tenendo presente che oggi i messaggi indifferenziati e generici sono controproducenti e mostrare delle generiche vigne nei formati adv espone al rischio di essere ignorati.
Consideriamo anche che la pubblicità oggi per essere efficace deve essere sempre più multi-canale. La comunicazione invece è un altro paio di maniche”. – David Ramirez, Marketing Specialist di Gruppo Food
Vino e comunicazione
“Cerco di differenziare la comunicazione dall’adv perché mai come nel settore vitivinicolo il valore del vino deve essere comunicato, nel senso che deve essere trasmessa la conoscenza relativa alla specifica bottiglia all’interlocutore, ed è oggi sempre più difficile farlo con metodi broadcast perché le persone cercano sempre più la personalizzazione (trend conosciuto e ormai trasversale).
La figura del Sommelier al ristorante nasce proprio per portare la conoscenza del produttore sul proprio prodotto fino all’ultimo miglio, al consumatore, facendo quindi da ponte vivente, e consigliando quest’ultimo sui migliori abbinamenti e sulla storia che ogni etichetta porta con sé: storie spesso di famiglie, generazioni, passioni e terre vitate.
I vini italiani sono apprezzati in tutto il mondo proprio per queste storie, autentiche narrazioni che arricchiscono il valore del liquido versato nei bicchieri.
Tutti gli ultimi report e ricerche parlano di consumi che si spostano verso i segmenti premium, dove regna la qualità: è compito di ogni rivenditore, e non più quindi solo dei sommelier al ristorante, accompagnare questo spostamento dei consumi con proposte comunicative adeguate a supportare i clienti.”
E nell’ambito della GDO? David Ramirez conclude:
“Qualcosa si sta facendo anche in GDO, ma è ancora troppo poco.
Banalmente, ne gioverebbe l’intera filiera a partire da valori più alti e margini commerciali migliori – e potenzialmente anche l’ecosistema, considerando lavorazioni agricole e produzioni mirate a qualità migliori”.