Da smart working a smart city?
di Maria Ottone e Laura Marina Popa
Tempo di lettura: 4 minuti
da smart working a smart city
A causa dell’emergenza sanitaria il ricorso allo Smart Working è all’improvviso diventato la regola in tante aziende, soprattutto (e con più facilità) nelle grandi aziende, ma il lavoro da remoto è entrato a far parte anche delle realtà più piccole.
Il termine Smart Working nell’ultimo periodo è stato usato molto di frequente, anche se fino a qualche mese fa in molti non sapevano cosa fosse.
Ma cosa significa in concreto smart working?
O meglio, quante sfaccettature possiamo cogliere in questo termine, che sembrava quasi ignoto almeno finchè il Presidente del Consiglio Conte non lo ha pronunciato per la prima volta durante quella famosa diretta tv, che tutti ricordiamo come il momento in cui l’Italia si è fermata, ed è iniziato il lockdown.
È opportuno partire dall’analisi di qualche dato per capire i problemi, ma anche le opportunità di questa pratica.
Le percentuali di diffusione dello smart working o cosiddetto lavoro da casa, affidato interamente alle nuove tecnologie, variano moltissimo.
Lo smart working nel mondo
In Europa la media è circa del 17%, l’Italia risulta il fanalino di coda, sia rispetto ai dipendenti che scelgono di lavorare da casa, sia rispetto a coloro che fanno grande uso delle nuove tecnologie lavorando in mobilità. Ma è anche vero che in Italia solo il 7% dei lavoratori aveva accesso allo smart working prima della pandemia.
In Giappone d’altro canto viene incoraggiato il lavoro a distanza per ridurre le dimensioni degli uffici.
Gli smartworker lavorano molto anche durante il weekend, infatti sempre in Giappone circa il 30% lavora 6/7 giorni a settimana.
Nelle grandi città brasiliane viene utilizzato e “incoraggiato” il telelavoro per risparmiare tempi di spostamento lunghissimi, infatti, anche l’usanza di vivere vicino al posto di lavoro è molto italiana. Negli USA la percentuale di smart working è arrivata fino al 37%.
Qui è stato accertato che il 78% delle ore di lavoro svolte in più, fra il 2007 e il 2014, sono da attribuire al lavoro svolto da casa.
Ma ci sono anche delle problematiche in questo mondo smart!
Da questi dati possiamo dedurre che un lato positivo potrebbe essere la maggiore produttività dei lavoratori, ma di contro c’è che potrebbe trasformarsi in un modo per lavorare sempre. Il rischio è che in assenza di fasce orarie, i dipendenti si ritrovino in una situazione di connessione perenne, con la vita lavorativa che invade la vita privata. Si sta iniziando a parlare infatti di diritto alla disconnessione, ossia “il diritto per il lavoratore di non essere costantemente reperibile, e quindi la libertà di non rispondere alle comunicazioni di lavoro durante il periodo di riposo, senza che questo comprometta la sua situazione lavorativa.’’
Smart working e ambiente – da smart working a smart city
Il concetto di cambiamento climatico, contrariamente a quello di smart working, viene portato all’attenzione di tutti ormai da anni. E vi starete anche chiedendo cosa hanno in comune queste due cose. Basti pensare alla giornata tipo di chi lavora in ufficio: sveglia presto, interminabili code in mezzo al traffico, attese nelle stazioni, insomma si macinano chilometri e chilometri tutti i giorni. ll tempo che ciascun dipendente impiega per arrivare da casa a lavoro e viceversa varia tra 1 ora e un 1 ora e 30, e questo non lo diciamo noi, lo attestano le indagini Istat e Isfort sugli spostamenti casa-lavoro.
Ipotizzando che ogni giorno il 50% del personale che lavora in ufficio fosse in smart working, si potrebbero evitare circa 630 mila automobili con a bordo 1 solo dipendente.
Immaginiamo per un attimo di essere tornati tutti alle scuole medie, durante un compito in classe di fisica, il problema in questione diventerebbe:
Se ogni dipendente della Pubblica amministrazione percorre, a bordo di un’utilitaria, 20 km tra andata e ritorno quanto potrebbe risparmiare stando a casa per la metà del tempo? Quante emissioni in meno ci sarebbero?
La risposta dopo svariati calcoli e con qualche dato in più nella traccia, sarebbe:
Egli potrebbe evitare di percorrere 2200 km, risparmiando circa 800 euro (considerando il costo km Aci) e di emettere 260kg di CO2.
Queste sono solo stime, ma moltiplicate per tutti i dipendenti si arriverebbe a numeri inimmaginabili. Per non pensare poi alla quantità di carta sprecata in meno che ci sarebbe sfruttando al massimo le potenzialità della tecnologia. Si potrebbe sfruttare anche la possibilità di utilizzare la firma digitale e la compilazione di moduli direttamente online. Inoltre si otterrebbe anche un ridotto uso degli impianti di climatizzazione, non più così necessari con gli uffici vuoti o quasi.
Il lavoro da remoto permette di dedicarsi alle “cose” di casa.
Nell’immaginario comune lo smartworker viene spesso rappresentato intento a lavorare e a svolgere, contemporaneamente, anche attività domestiche.
Lo smartworker, in realtà, organizza molto bene la sua giornata per evitare distrazioni ed interruzioni legate alla sfera domestica/privata.
Una delle regole dello smart working è impostare una routine quotidiana e non farsi distrarre dalle persone intorno.. oltre che dal divano
Anche il mercato immobiliare si sta muovendo nella direzione del lavoro agile. Aumentano, infatti, le richieste di immobili più ampi dove poter ricavare lo studio per collocare la propria postazione di lavoro.
Lo smart working e i colori
La priorità è poter lavorare in un ambiente tranquillo, che favorisca la concentrazione. Possiamo pensare però, dopo questi discorsi sui vantaggi e svantaggi fra produttività ed emissioni, anche ad una delle parti più frivole di questo argomento, ma forse un po’ sottovalutata. I colori che rendono più produttivo lo smart working.
Lavorare da casa ha il vantaggio di essere nel proprio ambiente, quello casalingo, ma se fossimo troppo rilassati a casa per produrre quanto e come dovremmo?
Nessun problema, ci sono più studi che dimostrano come i colori dell’ambiente che ci circonda possano influire su ciò che riusciamo a fare.
Uno di questi studi si trova sul portale inglese MyJobQuote , dello psicologo ed esperto di benessere Lee Chambers. Egli sostiene che i colori possano avere un impatto sull’umore e sulla capacità di concentrazione.
Il giallo aiuta a stimolare la creatività, uno sfondo giallo permetterebbe al cervello di trattenere le informazioni importanti, ma a lungo andare potrebbe affaticare gli occhi.
L’arancione è il colore che ‘’prosciuga la voglia di lavorare’’.
Il verde è ottimo per chi ha bisogno di calma, ma attenzione a non addormentarsi!
Il rosso tiene sicuramente sveglio il cervello, così come attira i tori, ma va somministrato in piccole dosi per evitare di far prevalere l’agitazione sulla voglia di lavorare.
Il blu è concentrazione, relax, è il nirvana dei colori, ma il rischio è quello di raggiungere troppo in fretta la pace dei sensi, e non lavorare più.
La pandemia non sembra rallentare per il momento, quindi: scegli un ambiente adatto, imposta una routine produttiva e non farti convincere da quel divano tanto invitante!
da smart working a smart city
Ps. Questo articolo è stato scritto in smart working, in una stanza con le pareti bianche ma su una bella scrivania organizzata.