1. IL FUTURO E' IN STREAMING

di Federica Montalbano
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Vi ricordate quando nel lontano 2007 la Wind offriva 4000 sms per 2 € al mese? Se sei del sud e a quell’epoca ti aprivi al mondo della telefonia mobile, in questo momento starai sorridendo pensando a tutti i messaggi che inviavi ai tuoi amici abbreviando con “XD” e “tvtttttb”. Per gli amici del nord invece la compagnia telefonica che dominava il mercato era la Vodafone con l’opzione Infinity o la Tim Young. La particolarità di queste offerte era che per poter usufruire di questi vantaggi tutti i tuoi amici dovevano avere la tua stessa compagnia telefonica, così al sud dominava la Wind e al nord la Vodafone. Se non eri Wind nel meridione eri uno sfigato isolato dal resto del mondo, viceversa se non eri abbonato con la Vodafone al settentrione non eri nessuno. L’Italia è sempre stata spaccata a metà per la cultura, le tradizioni e a quanto pare anche per la compagnia telefonica prediletta. Adesso quanti di noi utilizzano i vecchi e cari sms? I nativi digitali conoscono solo WhatsApp o Telegram e senza i nostri GB ci sentiamo persi. Così, fra qualche anno, noi ricorderemo con un po' di malinconia quando ci sedevamo davanti la tv e guardavamo tutte le innumerevoli pubblicità di un film in prima visione.

Dopo l’arrivo di Netflix, i millennials e la nuova generazione Z, non fanno altro che guardare serie tv e film prodotti e distribuiti dal colosso dello streaming. Perché se nel 2007 eri fuori dal mondo se non avevi l’abbonamento per gli sms, nel 2019 sei fuori dal mondo se non hai l’abbonamento Netflix. Per tutta l’estate non si è fatto altro che parlare delle ultime stagioni cult prodotte dal colosso americano dello streaming: Stranger Things, La casa di Carta, Dark e qualche giorno fa è stata annunciata l’uscita del film “El Camino” tratto dalla serie cult Breaking Bad. Da almeno dieci anni il settore della distribuzione video in streaming on demand ha avuto una crescita repentina, tanto da essere considerato uno dei mercati con la crescita più rapida della storia dell’intrattenimento. Se prima venivamo intrattenuti da spettacoli televisivi, film e serie tv da una puntata a settimana, adesso invece abbiamo tutti i film che vogliamo, quando e dove ci viene più comodo e non dobbiamo aspettare una settimana per vedere la puntata della serie che stiamo seguendo. Amazon, il colosso dell’e-commerce, non è rimasto fuori da questo mercato e ha lanciato il servizio Amazon Prime Video. Questo servizio raccoglie oltre cento milioni di utenti derivanti dagli abbonamenti Amazon Prime.

Il mercato dello streaming on demand non gode di concorrenza perfetta e si fa a gara a chi ha il prezzo più basso e a chi riesce ad accaparrarsi la fetta maggiore della torta degli innumerevoli clienti ormai stufi di essere interrotti dalla pubblicità mentre si stanno rilassando sul loro divano al termine di una giornata stressante. Il colosso di Cupertino non è rimasto a guardare i mutamenti che il settore dell’intrattenimento sta effettuando e si prepara a scendere in campo.

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Da quanto riportato dal Financial Times, Apple, avrebbe deciso di creare una nuova piattaforma video in cui lanciare i contenuti originali prodotti da loro alla modica cifra di 6 miliardi di dollari. Agli albori di questa idea, Apple avrebbe dovuto investire 1 miliardo per i contenuti della nuova piattaforma, l’aumento dell’investimento presume che il colosso di Cupertino guidato da Tim Cook, voglia imporsi nel breve tempo nel mercato dello streaming come protagonista. La prima serie originale prodotta per la nuova piattaforma, “The Morning Show”, vedrà come protagonisti Jennifer Aniston, Reese Witherspoon e Steve Carell; secondo il Financial Times è già costata diverse centinaia di migliaia di dollari alla Apple. Per un singolo episodio di questo show, la società avrebbe messo a disposizione più di quanto pagato da Hbo per ogni puntata del Trono di Spade. Un investimento importante quello della Apple, che punta a conquistare anche il mercato dello streaming on demand, offrendo sempre più servizi ai suoi clienti. La piattaforma di streaming della Apple dovrebbe debuttare negli Stati Uniti ad un costo di 9,99 dollari al mese e il lancio dovrebbe avvenire nei prossimi due mesi. Il tutto due mesi prima del lancio della piattaforma streaming della Disney prevista per il 12 novembre in tutto il Nord America al costo di 6,99 dollari al mese.

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Ebbene sì, anche la Disney si lancia in questo nuovo mercato dello streaming giocando sull’emotività dei suoi consumatori nel poter rivivere i bei momenti dell’infanzia con i propri cartoni preferiti o, anche grazie all’acquisizione della Fox, nel rivivere le avventure degli eroi della Marvel. Disney+ dopo la sua presentazione il 12 novembre, sarà disponibile da subito negli Stati Uniti, Canada e Olanda. The Walt Disney Company più che sul prezzo, fa leva sulla library che oltre ai contenuti storici della casa d’animazione cinematografica, conta anche i film della Marvel, della Pixar, Star Wars di cui controlla i diritti e i documentari di National Geographic. Il lancio della piattaforma in Nuova Zelanda e Australia avverrà il 19 novembre, mentre in Italia dovremo aspettare ancora un altro po'. La pagina italiana di Disney+, ha invitato i clienti ad iscriversi alla loro newsletter per restare aggiornati sul lancio della nuova piattaforma streaming prevista per il 2020.

Dal lancio di Netflix ad oggi, è cambiato il modo di intrattenerci davanti alla tv e di gustarci i film in compagnia. I consumatori richiedono servizi e non vogliono perdere tempo davanti alle pubblicità su cui spesso abbassiamo il volume della tv. Le aziende si sono dovute adattare e sulla scia del colosso americano dello streaming, anche gli altri partono alla conquista di questo nuovo mercato. Chi sarà il Re indiscusso di questo settore di business? Resterà Netflix a dominare la scena come la Nutella con i suoi competitor o si farà spodestare dagli altri che puntano sull’emotività dei propri clienti? Perché alla fine, ciò che spinge i consumatori all’acquisto è l’emozione di vivere momenti magici o di rivivere momenti che fanno riaffiorare in noi la nostra giovinezza. Quanti alla vista del remake del Re Leone al cinema non sono tornati indietro negli anni e si sarebbero messi a cantare noncuranti delle persone intorno a sé? Dal 2020 potremo tranquillamente cantare a casa tutte le canzoni che ci hanno sempre accompagnato al prezzo di 6,99 dollari al mese.


2. FERRARI VS PHILIPP PLEIN: E' GUERRA FREDDA TRA LA CASA DI MARANELLO E LO STILISTA TEDESCO

di Roberto Faraci
Tempo di lettura: 3 minuti

Auto e moda non vanno sempre d’accordo, e a dimostrarlo ci pensano la casa di Maranello e il noto stilista tedesco Philipp Plein, ai ferri corti dalla fine di luglio a causa di una serie di battaglie social-legali di cui milioni di followers sono a conoscenza: il “campo di battaglia” è, per l’appunto, Instagram, il social più utilizzato di questi anni. Ma come si è arrivati a tanto? 

Sneakers/Ferrari: i post su Instagram

A scatenare il tutto è stata la foto pubblicata da Plein su Instagram in cui si possono notare un paio di MoneyBeast, sneakers dello stilista in edizione limitata dal modico prezzo di 5.000 euro. Le sneakers sono poggiate su una Ferrari verde, in pendant con le calzature.

ilfattoquotidiano.it

Ma non solo. La ciliegina sulla torta sarebbero stati alcuni video in cui vengono riprese due modelle in bikini impegnate a lavare il parco auto dello stilista (nel quale, accanto a numerose moto e ad una Lamborghini, è presente proprio la Ferrari verde); il tutto condito dalle sneakers poggiate sui vari cofani delle macchine.

La lettera di diffida della Ferrari

La reazione della casa di Maranello di fronte a questi post non si è fatta attendere di certo e, tramite i suoi avvocati, ha inviato una lettera di diffida a Plein. Ma grazie alla poca discrezione che caratterizza da sempre il noto stilista, la lettera è stata pubblicata per intero sui social, ancora una volta, ovviamente, su Instagram. “I simboli della Ferrari nelle immagini sono associate a uno stile di vita assolutamente non conforme a come il marchio è percepito dal pubblico, con performer (le suddette fanciulle) che si esibiscono in gesti sessualmente espliciti, usando l'auto come un accessorio in un modo che è di per sé di cattivo gustoQuesto atteggiamento danneggia il buon nome della Ferrari, e provoca anche danni materiali. Infatti, la non richiesta associazione tra il brand Ferrari e le scarpe di Philipp Plein (nonché il discutibile modo in cui queste vengono promosse) interferisce con i diritti della Ferrari e con le sue licenze, le uniche linee autorizzate a utilizzarne loghi e nome”. Infine, la lettera invita lo stilista tedesco ad eliminare i post incriminati entro 48 ore.

economiafinanzaonline.it

La risposta di Philipp Plein

Che lo stilista non abbia apprezzato la lettera di diffida lo si poteva intuire dall’utilizzo delle gif dei pagliacci nel post di condivisione della lettera stessa, ma c’è molto di più. Plein si è detto amareggiato, scioccato e infuriato per un simile trattamento: Il ceo Louis C. Camilleri dovrebbe pensarci due volte prima di lasciare che i suoi avvocati mandino una lettera come questa a un prezioso cliente che ha acquistato 4 Ferrari nuove di zecca negli ultimi 10 anni! Sono ancora senza parole sul comportamento poco professionale e aggressivo dell’azienda Ferrari nei confronti dei suoi clienti. Anche io ho pagato di persona per la mia auto! Non rimuoverò le foto e inizierò un’azione legale contro la società Ferrari per questo comportamento non professionale. Mi aspetto delle scuse ufficiali da Louis C. Camilleri!”.

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Ad ultimatum scaduto, le foto delle sneakers sulla Ferrari verde sono state rimosse, anche se Philipp Plein non arretra di un metro per quanto riguarda la sua visione della situazione: “Nessuno ha bisogno di Ferrari ma Ferrari ha bisogno dei suoi clienti! Nessun marchio può acquistare i suoi clienti, ma i clienti possono scegliere quale prodotto e marchio acquistare!! I clienti sono sempre più potenti del marchio perché decidono sul futuro successo e le entrate del brand”. A conferma della linea dura tenuta dallo stilista, le parole del suo legale Carmine Rotondaro, che afferma: "Nella lettera si parla di danni materiali: e come si quantificherebbero?", prosegue Rotondaro. "Noi non arretriamo. Anche perché, dovessimo finire davanti a un giudice, sarà interessante vedere come e con quali parametri si dovrà definire cosa sia o meno sconveniente per la società".


3. QUANDO IL MARKETING ESAGERA. AMAZON GENERA IL CAOS IN USA

di Roberta Signorino Gelo
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Chi non ha mai sognato di tornare indietro nel tempo e vivere nella scintillante America degli anni ’50?
I diner e le loro insegne al neon, i vestiti a pois, i juke box, le giacche di pelle e il rock’n’roll. Sono anche gli anni in cui il consumismo esplode, e Amazon questo lo sa bene. Il gigante del commercio fondato da Jeff Bezos, che ormai da anni oltre a consegnarci pacchi in tempo record ci intrattiene con il suo servizio video on demand Prime Video, ha ben pensato di esordire con un’iniziativa di marketing non convenzionale per promuovere la nuova stagione di uno dei suoi contenuti esclusivi, Marvelous Mrs Maisel. Essendo infatti ambientata in quel periodo, quale modo migliore per questa serie di festeggiare le recenti 20 nomination ricevute per i prossimi Emmy Awards se non quello di riportare la città californiana di Santa Monica ai prezzi del 1959?

 “2019 meets 1959” si legge dal tweet dell’account ufficiale @MaiselTV. 

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Esso comunica ai cittadini di approfittare del #MaiselDay, giorno in cui grazie a delle convenzioni è stato possibile acquistare biglietti per il cinema, bibite e camere d’albergo ai prezzi di ben 60 anni fa: i residenti e chiunque altro si trovava dalle parti di Santa Monica sono letteralmente rimasti entusiasti dell’iniziativa e l’engagement sui social network, primo fra tutti Twitter, è massimo.
Ovviamente, per far sì che tutto sia il più realistico possibile, Amazon ha incluso tra i beni e servizi oggetto della promozione anche la benzina ed è qui che forse le conseguenze sono state sottovalutate.
Probabilmente l’inconveniente più grave di una iniziativa promozionale è che la promozione in sé riceva più eco del concetto che si vuol comunicare, e in questo caso agli automobilisti della zona è importato ben poco della serie tv dopo aver visto la benzina in vendita a 30 centesimi di dollaro al gallone (quasi 4 litri) nelle stazioni di servizio Chevron. 

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I risultati sono stati file di auto lunghissime, caos e l’intervento finale della polizia, la quale si è occupata del traffico diventato ingestibile tra Lincoln Boulevard e Michigan Avenue. Amazon ha poi fronteggiato ulteriormente la situazione inserendo fasce orarie e limitazioni per poter beneficiare della promozione. 

Tutto sommato si può affermare comunque che la trovata pubblicitaria ha avuto l’esito sperato, grazie soprattutto al tempestivo intervento dell’impresa ideatrice. Sono ormai tantissime le aziende che fanno ricorso alle campagne più bizzarre per promuovere i loro prodotti e aumentare l’awareness dei loro brand, e d’altronde, dopo il dito medio simbolo di Piazza Affari a Milano preso letteralmente sotto assedio dalla banda de "La Casa di Carta" ad opera di Netflix o l’introduzione di manichini Plus size e paralimpici nello store Nike di Londra per promuovere le diversità nello sport, in realtà non stupisce affatto una iniziativa del genere.

Siamo dinanzi ad una vera e propria battaglia creativa, ma in realtà si sa, la creatività è da sempre una componente imprescindibile del marketing.


Cos’altro escogiteranno le aziende per sorprendere ancora il vasto pubblico di consumatori?

 


4. TEMPORARY SHOP: DAL WEB ALLA REALTA'

di Laura Marina Popa
Tempo di lettura: 3 minuti

Temporary Shop, noti anche come "pop-up shop", sono negozi temporanei che consentono ai brand di collocarsi nei luoghi centrali di una città e di espandere il proprio business per un limitato periodo di tempo.

Molti marchi, grandi e piccoli, decidono di optare per questo nuovo concetto di vendita al dettaglio che garantisce ottimi vantaggi commerciali e di redditività, nonché un grande impatto positivo sull'immagine della marca.

Perché scegliere questa formula? Quali sono i vantaggi rispetto a un negozio tradizionale?

Si tratta di marketing esperienziale (incentrato sulla valorizzazione dell’esperienza di consumo del cliente al fine di trasmettere un valore aggiunto connesso con l’acquisto del prodotto) che offre alle aziende un canale di vendita diretta, che consente di fidelizzare la clientela e offre la possibilità di scoprire nuovi mercati.

L’esperienza all’interno di un pop up shop è più simile a quella di un evento, dove tutto è in movimento e ogni dettaglio è scelto per stupire. Rappresentano un mix tra online ed offline, in quanto le vendite online sono un mercato in crescita, ma i consumatori hanno ancora voglia di sperimentare un marchio prima di affidarsi all’acquisto online.

Lanciare un temporary shop permette di raggiungere nuovi clienti senza l'investimento necessario per aprire un negozio permanente.

Nel momento in cui si apre un negozio temporaneo si instaurano relazioni e interazioni con numerosi soggetti che potrebbero essere clienti, ma anche fornitori, agenti, operatori nel campo del marketing, con i quali diventerà più facile creare un network su cui fare affidamento per creare e migliorare la brand image oltre che per costruire su basi più solide un'eventuale attività fissa, qualora questa rientri nei propri progetti.

Quindi, l’elemento di sorpresa regala al pubblico un’esperienza unica e irripetibile e consentono al brand di realizzare diversi obiettivi:
- il lancio di un nuovo prodotto;
- un test di mercato prima di una presentazione ufficiale;
- la creazione di un legame tra cliente e marchio;
- il consolidamento della presenza del brand.

Quali sono le caratteristiche che un pop up shop deve avere per essere di successo?

Luigi Sghinolfi, titolare dell’agenzia immobiliare LS Holding Real Estate e proprietario di Spazio Promozionale da oltre 10 anni, ha raccontato a Mark Up le peculiarità e gli elementi essenziali per un pop up store di successo.

  • la posizione;
  • ampie vetrine;
  • spazi interni ben distribuiti;
  • ottima impiantistica (illuminazione, impianto di condizionamento, sistema di sicurezza, ecc..)

Tra queste, «la posizione è ancora la variabile principale» ma «la location non basta, in quanto anche un’attività temporanea con affaccio su piazza del Duomo a Milano deve essere preparata, deve essere comunicata, si deve creare una notizia, incuriosire, ma dare anche un contenuto con un’esperienza.»
I pop up più amati ed acclamanti

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Il caso Friends

Friends compie 25 anni e per celebrare l'anniversario a New York apre un pop up store. Lo spazio verrà inaugurato a ed è curato dalla Warner Bros., aprirà il 7 settembre e sarà aperto per un mese.
La parte dedicata alla full immersion ricrea anche il set, ossia l'appartamento a New York di Joey e Chandler e il bar Central Perk.
Friends fu creata da David Crane e Marta Kauffman e trasmessa su NBC dal 22 settembre 1994 al 6 maggio 2004 per un totale di dieci stagioni. La serie ruota attorno a un gruppo di sei amici a Manhattan, i ragazzi Ross, Chandler e Joey, e le ragazze Rachel, Monica e Phoebe.
Il pop-up store di Friends conterrà non solo numerosi oggetti di scena e alcuni dei costumi indossati dai protagonisti della serie, ma darà anche la possibilità ai fan più accaniti di conoscere alcuni trucchetti utilizzati da Monica per tenere la casa sempre pulita (del resto lei era fissata con l’ordine), dando anche la possibilità di sbirciare tra gli oggetti preferiti di Phoebe (tra i quali non potrà mancare la sua mitica chitarra con la quale ha intonato migliaia di volte la sua indimenticabile hit Gatto Rognoso).

(https://www.instagram.com/p/B0jaFO5ASj7/?utm_source=ig_embed
https://www.instagram.com/p/B0gSxK_DD9s/?utm_source=ig_embed)

Il Caso Facebook

Facebook aveva già avviato la sua campagna di pop-up store già nel 2018 durante il periodo natalizio.
L’obiettivo era quello di portare nei negozi fisici i prodotti di piccole imprese e aziende nate e affermatesi online che hanno avuto più successo sulle piattaforme social di Zuckerberg, collaborando a stretto contatto con la grande catena di distribuzione Macy’s ha adottato la formula del pop-up store.

Tra i marchi che partecipano a questa iniziativa non sono presenti solamente attività commerciali ma anche piccole realtà no-profit come Two Blind Brothers, con lo scopo di finanziare la ricerca contro la cecità attraverso la vendita di abbigliamento e Love Your Melon, brand dedicato alla lotta ai tumori pediatrici. Ma chi visiterà gli spazi predisposti presso gli store di Macy’s potrà anche acquistare i prodotti di Charleston Gourmet Burger Company, una piccola azienda di salse per barbecue che è riuscita a espandere il proprio business in tutto il territorio Usa.

Non è escluso che Facebook possa sfruttare questa esperienza per seguire le orme di Amazon, il colosso dell’e-commerce, che ha allargato progressivamente la sua attività anche nello spazio offline con librerie, negozi pop-up e 4-star, insieme a supermercati ipertecnologici come Amazon Go.

L’azienda di Mark Zuckerberg potrebbe essere interessata ad avere dei punti vendita per i suoi prodotti come i visori di realtà virtuale Oculus e il dispositivo Portal (smart display della linea Portal per le smart home) e a cercare di trasformare l’enorme bacino di utenza delle piattaforme social in clientela per il business dei negozi fisici.

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Un pop-up store di Facebook dentro Macy's
Ma Facebook quest’estate si è spinta oltre creando il primo pop-up cafè, bar ad apertura temporanea.

repubblica.it

Travolto dalle polemiche su come ha gestito la privacy dei propri utenti, Facebook si prepara ad aprire cinque bar temporanei nel Regno Unito. L’obiettivo è offrire alle persone dei checkup sulla privacy. Reduce da un maxi patteggiamento per via dello scandalo di Cambridge Analytica, il social network ha tenuto aperto un Facebook Café a Londra il 28 e 29 agosto.

Gli altri pop-up store saranno aperti tra il 28 agosto e il 5 settembre in altre località della Gran Bretagna invitando la popolazione britannica a controllare quanto la loro privacy sui social sia a rischio o meno sorseggiando gratuitamente un drink.

Una recente indagine ha svelato che un quarto degli inglesi (il 27% per la precisione) non ha la minima idea di come personalizzare e configurare le impostazioni della privacy su Facebook tralasciando, di fatto, qualsiasi protezione delle proprie informazioni.
Interpellato da Mashable, Steve Hatch, vicepresidente della piattaforma per l’area nord Europa, ha commentato: “È normale preoccuparsi di chi può vedere cosa condividiamo sui social media, ma non tutti sanno come fare. Per questo motivo abbiamo reso la personalizzazione della privacy veloce e semplice”.

Quindi non ci resta che aspettare gli effetti delle lezioni al bar.

(https://www.elledecor.com/it/lifestyle/a28771444/facebook-cafes-bar-pop-up-privacy/)


5. ZUCKERBERG E LA NUOVA MISSION: ORA IL SOCIAL VUOLE CAMBIARE IL MONDO

di Antonino Ferro
Tempo di lettura: 4 minuti

Mark Zuckerberg sta studiando da filantropo: non intende candidarsi a ricoprire alcun incarico politico, almeno non per il momento, ma da un po’ di tempo a questa parte ha iniziato a sommare uno strato di impegno sociale al suo normale lavoro di CEO di Facebook.

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"Il futuro è privato" ha affermato proprio lui lo scorso aprile a F8, riguardo la crescita dei contenuti effimeri (Stories), di gruppi e community e della messaggistica privata nell'ecosistema Facebook, Messenger, Instagram e Whatsapp.
L’obiettivo è quindi quello di connettere privatamente gli utenti con “salotti digitali”, spostando l’attenzione dai feed verso le conversazioni, cambiando le carte in tavola anche per i marketers, che devono ora offrire valore in modo da creare relazioni tra gli utenti. Il fenomeno del gruppo e delle piccole community di nicchia, riunite attorno argomenti più specifici e verticali ha assunto un notevole valore nei social. In una intervista concessa a margine del Facebook Community Summit ha spiegato alla CNN che si è reso conto in prima persona dell’impatto che i social possono avere nella vita delle persone e in generale sulla società. Forse un gruppo Facebook non può cambiare direttamente l’agenda politica, ma una rete di cittadini che si scambiano informazioni può esercitare una pressione significativa sulla classe dirigente.
È innegabile che delle community attive e fiorenti siano un vantaggio competitivo non da poco per Facebook: se gli utenti si sentono parte di una community saranno invogliati a passare più tempo collegati, si collegheranno più spesso e arricchiranno il grafo di Facebook di preziose informazioni. Informazioni utili a vendere la pubblicità, la voce più importante del fatturato del social network che ormai sfiora i 10 miliardi di dollari a trimestre. Per quanto Zuckerberg resti azionista di maggioranza di Facebook e mantenga il pieno controllo sulla sua creatura, il social network oggi è una società quotata in Borsa: dunque deve rispondere alle sollecitazioni di un mercato che dalle aziende si aspetta sempre una crescita, non importa come. Se ciò avviene facendo del bene, tanto meglio. Acquisendo maggior peso le conversazioni tra gli utenti, lo strumento principe per instaurare relazioni con i propri clienti, sia in ottica di acquisition che di retention, diventa la messaggistica!
Non c’è nemmeno bisogno di dire che il player principale, anche in questo caso è sempre la galassia che fa capo a Mark Zuckerberg. E, ovviamente, non sorprende il piano, annunciato tempo fa, che punta a far convergere Messenger, WhatsApp e Instagram in un solo servizio.

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Lo stesso Aristotele nel lV sec. a.C. disse: "L'uomo è un animale sociale" e tende per natura ad aggregarsi con altri individui e a costruirsi in società. Lo Stato, la famiglia, il gruppo di calcetto nascono da un bisogno di appartenenza dell'essere umano.
Il gruppo si costruisce su relazionicooperazionedei partecipanti e norme di comportamento condivise (le leggi, la policy del gruppo), che i membri seguono per assicurare l'esistenza stessa del gruppo.Il bisogno di appartenenza a un gruppo è anche al terzo livello della piramide di Maslow, dopo i bisogni fisici (respirare, mangiare, dormire, ecc.) e quelli di sicurezza (fisica, finanziaria). Non appartenere a nessun gruppo comporta per l'uomo ansia socialedepressione e solitudine. Il concetto di gruppo per "stare bene" di Zuckerberg, che aspira ad aumentare il numero di community costruttive sia online nell'esperienza Facebook, che offline come parte integrante del mondo realeèdiventato uno degli obiettivi principali dei prossimi anni. Sarà anche più facile trovare spazio per esprimersi rispetto al dispersivo mondo web (definito come una piazza), dove al contrario è più comune oggi ricevere passivamente un contenuto filtrato da algoritmi e confondersi tra pubblicità e fake news.
I nuovi salotti digitali, come quelli fisici, sono quindi luoghi più intimi e meno affollati, dove il focus è lo scambio di conversazioni tra utenti, piuttosto che la fruizione dei contenuti. Le app di messaggistica, i gruppi e le community riunite intorno un tema e obiettivo specifico favoriscono questo tipo di relazione. Oltre l'ecosistema di Zuckerberg si stanno sviluppando sempre più community anche su piattaforme non social, come i canali di gamer in Twitch, le aree di interesse di Reddit, le community proprietarie dei brand.Quest'ultimi stanno tastando un nuovo modo di comunicare con l'utente, basato più su autenticità e relazione one-to-one tra persone, che rapporto tra utente e marchio.  Lo scorso Marzo a causa dei malfunzionamenti di Facebook, Instagram e Whatsapp, Telegram ha acquisito in sole 24 ore più di 3 milioni di nuovi utenti, che si sono aggiunti ai 200 milioni già attivi al mese. Telegram è un servizio di messaggistica privata, simile a Whatsapp, che dichiara di garantire maggiore privacy per l'utente. I 3 milioni guadagnati da Telegram tuttavia non hanno intaccato il primato di Zuckerberg sulla messaggistica privata, che conta 1 miliardo e 600 milioni di utenti attivi al mese per Whatsapp e 1 miliardo e 300 milioni di utenti attivi per Messenger.

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Il social commerce, invece, brilla come non mai, con le piattaforme impegnate a implementare funzioni proprie degli e-commerce, creando quindi una customer journey che porti per mano il cliente dalla scoperta del prodotto all’acquisto senza uscire dai social. Va da sé che anche in ottica retention diverrà più semplice per i brand mantenere i rapporti con il cliente, creando un’esperienza fluida e senza interruzioni (seamless experience). Proprio in quest’ottica si muovono le ultime novità di Instagram, con la funzione Checkout e Branded Content, o la criptovaluta di Facebook, che avvicinano aziende e influencers azzerando anche le distanze tra gli utenti e gli acquisti.

Nel futuro prossimo, quindi, sarà essenziale elaborare una strategia basata su una visione globale e sul medio-lungo termine per portare risultati anziché singole campagne su un arco temporale ristretto.

Per quanto riguarda i gruppi, oltre 1 miliardo di utenti fa parte di gruppi Facebook, di cui 200 milioni di gruppi che Zuckerberg definisce "costruttivi" e che intende portare a 1 miliardo di utenti in 5 anni.

Altre piattaforme che favoriscono la creazione di community sono Twitch e RedditTwitch, la piattaforma video live streaming di Amazon e una community per gamers. La piattaforma è organizzata in categorie e canali di gioco, dove i membri tramite chat possono interagire con i giocatori e tra di loro. Twitch conta 895 milioni di utenti attivi al mese. Reddit è un sito internet di social news e intrattenimento, che ricorda un po' i "vecchi" forum. La piattaforma è molto diffusa negli Stati Uniti e ha 330 milioni di utenti attivi al mese. Reddit è stracolma di User ed è organizzata in aree di interesse  che corrispondono ad argomenti.

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Una sorta di community intorno aree di interesse e trend può essere creata anche attraverso gli hashtag, pensiamo per esempio a TikTok che nella sezione "Scopri" ci presenta i contenuti divisi per hashtag piuttosto che per profilo. TikTok conta 27 milionidi utenti attivi al mese. La condivisione dei contenuti e il traffico generato da canali privati, come app di messaggistica e gruppi privati, comporta difficoltà di monitoraggio e attribuzione nel ciclo di vendita. Questo fenomeno viene definito Dark Social.  I contenuti maggiormente condivisi sono foto personali  (72%), foto e video di intrattenimento (70%), link a siti web (50%), sconti e occasioni di acquisto (49%). Tra le categorie: intrattenimento, giochi, abbigliamento e viaggi.

La svolta privata sui social e l'aumento di community è una grande sfida e opportunità per i brand. Da una parte devono fronteggiare difficoltà nella tracciabilità dei contenuti, nel pubblicizzarsi rispettando la privacy della propria audience e nell'attenzione e comunicazione minuziosa al singolo rispetto alla massa. Dall'altra parte i brand possono coltivare relazioni dirette e autentiche, conoscere più a fondo le persone che acquistano, rispondendo ai loro bisogni e frustrazioni. Alcuni brand già da qualche tempo stanno sperimentando la comunicazione nei salotti digitali. Vediamo qualche esempio:

1) Nel 2016 Adidas ha lanciato la campagna Tango Squad, con l'obiettivo di creare "football influencer".Ha quindi riunito in gruppi Messenger e Whatsapp, divisi per 15 città, 1,440 micro-influencer di 15-19 anni e condiviso con loro news in anteprima, contenuti esclusivi ed esperienze uniche, come quella di incontrare Leo Messi.Gli influencer hanno poi postato i contenuti sui loro profili social e questo ha consentito di aumentare follower e ad Adidas di guidare la fonte dei contenuti referral del Dark social e generare engagement.Oggi Adidas è al terzo anno di Tango Squad e nonostante l'iniziativa abbia riscontri positivi, Florian Alt, VP, Global Brand Communications di Adidas, ammette che ci sono anche sfide e difficoltà da affrontare come per esempio calcolare benefici e ritorni di investimento o la gestione di comunicazioni one-to-one.

2) Starbucks sta esplorando come può utilizzare i gruppi Facebook e account privati per coinvolgere gli utenti nello sviluppo del prodotto e testare come evolve nella strategia social. A dichiararlo è Reuben Arnold,  VP di Marketing Product per Starbucks EMEA. I gruppi per Arnold non sostituiranno le tradizionali ricerche di mercato, ma la speranza di Starbucks è che possano offrire un nuovo modo per coinvolgere i consumatori e avere informazioni più approfondite. Questa è anche un'opportunità di lavoro trasversale tra marketing,  sviluppo e consumatore che creano insieme il prodotto migliore. Non solo social. I Brand creano community anche su piattaforme proprietarie dove non valgono più le regole degli algoritmi e dei contenuti paid.

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3)Sephora riunisce e coinvolge la sua community online in due salotti Beauty Talk e Beauty Board. Beauty Talk è una sorta di forum dove gli utenti possono fare domande, condividere idee e confrontarsi con altri persone entusiaste. Come Reddit, la community è organizzata in thread su una varietà di argomenti. In Beauty Board gli utenti possono caricare le proprie foto con il makeup e prodotti Sephora, e i link alle pagine per acquistarli. La community è costituita completamente da contenuti generati dagli utenti, veri e propri brand ambassador che ispirano a usare e acquistare le altre persone. Le community per Sephora sono anche fonte di dati per comprendere i prodotti più interessanti e le frustrazioni degli utenti, oltreché rispondere a eventuali problemi di customer service.

4)Creativi, designer, fan sfegatati di ogni età possono condividere le proprie idee su Lego Ideas, la community online di Lego. Le idee possono essere postate, attraverso foto e video, votate e commentate dagli altri utenti. Le migliori idee vengono poi realizzate da Lego con tanto di percentuale di vendita al creativo.  I profili dei membri della community possono essere seguiti come un vero social network. I contest sono il punto di forza di Lego Ideas.

Zuckerberg ha presentato questa nuova strategia dopo una serie quasi senza fine di scandali e falle nella sicurezza che hanno scosso la sua azienda negli ultimi 15 mesi. Azienda che continua a gestire un'attività altamente redditizia basata sulla raccolta di informazioni personali dai suoi utenti e sulla vendita di spazi pubblicitari. Ma Facebook ha riconosciuto più volte in passato la sua incapacità di proteggere la privacy degli utenti potrebbe comportare una multa da 3 a 5 miliardi di dollari da parte della Federal Trade Commission. Per mettere in atto la nuova "versione" dei social network (con Facebook, saranno rinnovati anche Instagram e Whatsapp) verranno effettuate migliorie in vari campi: in primo luogo, verrà aumentato il controllo dell'utente sul proprio profilo, che deciderà quali e in che modo condividere contenuti. Inoltre, la crittografia end-to-end impedisce di vedere ciò che le persone si scambiano nelle comunicazioni private: nemmeno ai tecnici di Facebook sarà possibileaccedere a tali interazioni.
I messaggi e le storie non verranno mantenute nel sistema più a lungo di quanto voglia il singolo utente, così le persone non dovranno più "preoccuparsi che ciò che condividono oggi possa tornare un domani a ferirle". "Ciò significa, spiega Zuckerberg, che le foto pubblicate su Facebook verranno rimosse dopo un determinato periodo a meno che l'utente non desideri archiviarle". Maggior attenzione anche per quanto riguarda l'interoperabilità: si potrà comunicare integrando i servizi Messanger, Instagram e Whatsapp, così da rendere possibile "l'invio di messaggi ai propri contatti usando qualsiasi dei nostri servizi, e prevediamo di estendere questa interoperabilità anche agli sms". Una svolta che guarda al futuro, dato che, a detta del papà di Facebook, "la comunicazione si sposterà sempre più su servizi privati e criptati dove le persone possano sentirsi sicure che quello che si dicono l'un l'altro rimanga privato e che i loro messaggi e i loro contenuti non restino in giro per sempre".


AMAZON, FACEBOOK, DAZN E GLI ALTRI: LA MORTE ANNUNCIATA DELLO SPORT IN TV?

di Nunzio Salvatore Minissale
tempo di lettura: 3 minuti

C’era una volta un duopolio. Una scelta che molti italiani appassionati di sport dovevano compiere, ogni anno, per poter seguire la propria squadra del cuore: Sky o Mediaset Premium? C’erano (e ci sono ancora) molti altri italiani che per risolvere il dilemma preferivano la “terza via”: lo streaming. Illegale, certo, spesso di bassa qualità e con il commentario in improbabili lingue di dubbia origine, ma che dava la possibilità, con il semplice ausilio di una connessione ad internet, di seguire i principali eventi sportivi di tutto il mondo.

Oggi quel mondo non c’è più. Da qualche anno, infatti, i colossi del web hanno cominciato a presidiare il mercato dei diritti di trasmissione dello sport tramite piattaforme esistenti o create appositamente. Una torta che cresce sempre di più e della quale tutti vogliono un pezzetto. L’ultimo in ordine di tempo ad averla addentata è stato Amazon: è notizia di pochi giorni fa l’accordo tra il colosso di Seattle e la Federtennis francese che consentirà, dal 2021, la messa in onda di alcuni match del celeberrimo Roland Garros (uno degli eventi tennistici più seguiti al mondo) sulla piattaforma Prime Video, interrompendo un dominio, quello del canale televisivo Eurosport, che durava da 27 anni. Questo accordo, che riguarda (almeno per adesso) solo il mercato francese, produrrà presumibilmente un aumento di sottoscrizioni ad Amazon Prime, il servizio di spedizioni veloci e gratuite che include anche l’accesso alla sopracitata Prime Video, e consentirà alla Federtennis un incremento degli introiti televisivi del 25%. Un accordo “win-win”, dunque. Tranne che per Eurosport.

Fonte: hwupgrade.it

Questo è solo l’ultimo morso di Amazon alla grande torta dello sport live: rimanendo sempre in ambito tennistico, negli ultimi tempi ha acquisito, per la Gran Bretagna, i diritti di trasmissione di US Open, Masters 1000, ATP 500 e circuito donne (WTA). Negli USA invece, il gigante guidato daJeff  Bezos ha pagato, nel 2017, 50 milioni di dollari per trasmettere 10 gare di NFL (il campionato professionistico di football americano, un torneo che accoglie all’interno 7 dei 20 brand sportivi più ricchi al mondo secondo Forbes). L’intento sembra chiaro: invogliare l’utenza alla sottoscrizione dell’abbonamento Prime offrendo un ampio ventaglio di servizi, tra cui anche importanti eventi sportivi. Questo potrebbe configurarsi come un embrionale tentativo di sostituirsi alle classiche emittenti televisive a pagamento, che, per loro stessa natura, si limitano a trasmettere gli incontri, risultando così “limitate”; pensiamo invece alle potenzialità di una piattaforma come Amazon, in un mondo in piena rivoluzione digitale, con devices “always connected”: al gol della propria squadra del cuore, si potrebbe ricevere un messaggio sul proprio account Amazon che ci ricorda la possibilità di acquistare la divisa sullo stesso sito, e (sempre grazie al servizio di consegne veloci di Prime) riceverla il giorno dopo. Magari con un piccolo sconto per festeggiare il gol segnato.

Fonte: techxplore.com

Tornando al presente e a ciò che sta già rivoluzionato il modo di “vedere” lo sport, è del 2016 l’accordo tra NFL(sempre loro) e Twitter per la trasmissione, gratuita e disponibile su più devices, della partita del giovedì sera, il “Thursday Night”. Jack Dorsey, Ceo di Twitter, affermò:“Questo accordo trasformerà il modo di seguire il football da parte degli appassionati”. E sempre più spesso, infatti, i vertici delle leghe professionistiche dei più disparati sport decidono di affidarsi, per la trasmissione dei match cosiddetta “in chiaro” (ossia gratuita) a piattaforme online, piuttosto che ad emittenti televisive. Il caso da citare qui è quello di Facebook: il colosso di Zuckerberg ha scelto per sé una fetta sostanziosa della famosa torta, sottoscrivendo, un anno fa, un accordo con la UEFA per la trasmissione in chiaro di alcune partite della Champions League (triennio 2018-21) in tutta l’America latina. Gli utenti argentini, cileni o paraguayani potranno quindi vedere 32 matches a stagione direttamente dalla pagina Facebook della UEFA Champions League. “Come la più grande piattaforma di social media online a livello mondiale, Facebook garantirà un’ampia copertura in chiaro della competizione di club più prestigiosa al mondo. Attendiamo con impazienza il lancio di questa nuova partnership che garantirà di raggiungere l’ampia comunità di tifosi locali di calcio in un modo altamente innovativo e accessibile”; queste parole, pronunciate da Guy-Laurent Epstein, direttore marketing di UEFA, chiariscono le motivazioni dietro alla scelta: un unico accordo con una piattaforma accessibile da tutti significa più pubblico e più facilmente raggiungibile. E ancora una volta, la televisione rimane il grande sconfitto di questa partita.

Questi piccoli esempi disegnano un mercato globale che sembra aver virato in una direzione precisa; e per quanto riguarda l’Italia, invece? anche nel bel paese, da un anno a questa parte, l’utenza media ha imparato a familiarizzare con il concetto di “sport (legale) in streaming”. L’assegnazione di 4 partite di Serie A a settimana a Perform ed al suo servizio di eventi live on-demand DAZN ha aperto la strada, anche in Italia, ad un nuovo modo di seguire lo sport, più “smart” e accessibile senza tv. Si potrebbe continuare citando anche le iniziative dei singoli club calcistici ( la AS Roma è stata la prima società in Europa a trasmettere, nel 2016, un’intera partita in diretta sulla propria pagina Facebook) o dei tornei “minori” e federazioni di sport meno seguiti (sempre su Facebook). Il messaggio che se ne ricava, banalmente, è che la rivoluzione digitale ha prodotto conseguenze importanti anche nel mondo dello sport: ha dato l’opportunità (gratuita) a molti tornei di raggiungere un pubblico più vasto, e ha permesso a nuovi player (le piattaforme online, per l’appunto) di entrare in un mercato che, fino a pochi anni fa, viveva in una situazione di oligopolio che sembrava impossibile da scardinare. Ne saranno felici gli utenti, che potranno tendenzialmente pagare di meno per la visione di un Federer-Nadal o di un Barcellona-Real Madrid; e sarà interessante vedere come i grandi colossi televisivi come Sky reagiranno a questo cambio di paradigma. Pochi anni e capiremo se vedere lo sport in tv sarà rimasta una piacevole abitudine, o soltanto un dolce ricordo d’infanzia.


1. STARBUCKS CREAMER DA 7,15 MILIARDI DI DOLLARI

di Francesca Cisternino 
Tempo di lettura: 2 minuti

Amanti del caffè sull’attenti. 

La partnership di inizio anno tra i due competitors, Nestlè e Starbucks sta dando i suoi frutti, o meglio le sue coffee creamers.

businesstimes.com

Le ultime indagini qualitative hanno rivelato un aumento dei consumatori di caffè a casa, dovuto in particolare a ritmi di vita più frenetici e necessità di time saving.
I due colossi hanno deciso di cavalcare questa tendenza unendo forze e competenze. Risultato? Starbucks creamer .
Starbucks, entra per la prima volta nel mercato delle creme refrigerate sfruttando le conoscenze di Nestlè, leader nel settore delle bevande cremose.

businesstimes.com

Mark Schneider, amministratore delegato Nestlè ha dichiarato:
“Con Starbucks, Nescafè e Nespresso, riuniamo tre marchi iconici nel mondo del caffè. Questo è un grande giorno per gli amanti del caffè di tutto il mondo”

Nestlè pagherà Starbucks per 7,15 miliardi di dollari per poter vendere caffè con il marchio della nota catena di Seattle.
I Coffee Creamer di Starbucks al gusto di caramello, cioccolato bianco e cannella dolce, si troveranno in vendita negli
Stati Uniti a partire da Agosto, sia presso store di prodotti alimentari, sia in rivenditori online selezionati.

businesstimes.com

I vantaggi di questa collaborazione sono molteplici: sia perché Nestlè lancia prodotti Starbucks a velocità notevole permettendo a quest’ultimo di espandersi nel settore delle bevande cremose, sia perché i clienti Starbucks potranno godere dei caffè Starbucks anche restando a casa, senza dimenticare che la creazione e commercializzazione di questi prodotti stanzierà circa 500 nuovi posti di lavoro.

E’ ancora presto per valutare il successo o meno di questa strategia di brand extention di Starbucks. Io per ora, da amante del caffè, mi limiterò a provare tutti i gusti.

 


2. QUANTO VALE LA VOSTRA PRIVACY? IL "NUOVO" ESPERIMENTO DI AMAZON

di Alessio Lo Giudice
Tempo di lettura: 2 minuti

La mole di dati giornalmente generata dai nostri smartphone e dai nostri pc assume in numero valori esorbitanti, e sempre maggiore è l’interesse che i colossi hi-tech e le multinazionali hanno nei confronti di questi dati, al fine di personalizzare sempre più l’offerta per il consumatore digitale.

Ma quale valore economico possono avere questi dati? Quanto vale la vostra privacy?
Sareste disposti a cedere questi dati in cambio di un corrispettivo da spendere online?

Questa è l’idea che ha avuto Amazon, in occasione del Prime day dello scorso 15 e 16 Luglio. Attraverso Amazon Assistant, un tool, da installare sul browser web, che assiste l’utente nella sua customer experience, permettendogli di comparare i prezzi dei prodotti cercati sul web, con quelli presenti nell’assortimento di Amazon. Dal 1 al 14 luglio per gli utenti prime veniva offerto un buono di 10 euro da spendere su Amazon se avessero scaricato questo tool per la prima volta.

hdblog.com

Si è trattato di un vero è proprio scambio, tra i dati del cliente ed un corrispettivo in denaro da utilizzare sullo stesso store digitale.
Per essere operativo infatti l’assistente necessita di analizzare le attività web degli utenti, compresi i link e determinati contenuti delle pagine visualizzate.
Lo scopo del software è quello dunque di avvisare i consumatori se lo stesso prodotto ricercato sul web presso un competitor, ha un prezzo migliore su Amazon. L’obiettivo? Spingere sempre più clienti su Amazon.

Diverse sono comunque le implicazioni che una mossa del genere può avere e il suo potenziale a livello di marketing per il colosso di Jeff Bezos. Si può infatti migliorare l’offerta finale di prodotti e servizi per il consumatore e ,conoscendo le sue ricerche, creare un marketing ad hoc per quelli che sono i suoi bisogni, favorendo inoltre la vendita di prodotti cross selling. Si può inoltre ridurre la concorrenza al dettaglio, divenendo Amazon sempre più una scelta quasi obbligata.

Questa mossa ha avuto parecchio successo negli USA, dove sono già oltre sette milioni di clienti ad utilizzare questo strumento attraverso i vari browser web, bisogna precisare però che rispetto all’Europa dove è stato approvato il Gdpr, negli Stati Uniti, operazioni simili sono soggette a minori restrizioni.
Diversi sono già i tool esistenti che lavorano con la comparazione di prezzo online, ma è la prima volta che un retailer “paga” i suoi clienti per accedere ai dati sensibili di quest’ultimi, e non priva di fondamento è l’ipotesi che sempre più aziende in futuro imiteranno l’operato di Amazon dei giorni scorsi.
L’idea di fondo infatti è quella che i Grandi della tecnologia ricompensino i loro clienti per il valore dei loro dati.

Ma quanto valgono realmente questi dati? Vale davvero la pena cedere parte della propria privacy?
Questa è una riflessione soggetta ad opinioni antitetiche che spetta senza dubbio al consumatore decidere.