LA CYBERMODA OGGI E’ REALTA’

di Asia Bonaldi

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Si sa, la tecnologia è parte sempre più integrante della nostra vita quotidiana. Quello che sorprende è che la tecnologia stessa, oggi, sia in grado di creare linee di moda basate esclusivamente sui big data. Non ci credete? Continuate a leggere.

L’innovativo progetto lanciato dalla piattaforma online Yoox ha sfruttato l’intelligenza artificiale e un approccio data driven oriented per creare due nuove linee (autunno/inverno e primavera/estate), denominate Lifestyle Essential.

“I capi realizzati sono «matematicamente» creati per soddisfare le esigenze di un e-shopper curioso, appassionato e consapevole”, questo è il commento di Paolo Mascio (presidente di Yoox e The Outnet) al lancio della nuova linea.

Infatti, il software di intelligenza artificiale è stato in grado di riconoscere immagini del web tratte da influencer o magazine online mentre l’approccio basato sui dati ha analizzato dati di vendita del sito, feedback, recensioni, tendenze del momento. Il risultato è una collezione di capi, non solo attuali, ma addirittura senza tempo, che non vanno fuori moda non appena la tendenza del momento tende a scemare, ma che sono destinati a rimanere negli armadi dei clienti per molto, moltissimo tempo.

La collezione autunno/inverno di 8 by Yoox, composta da circa 200 capi, è stata presentata e lanciata online a Milano il 6 novembre. Il logo 8 by Yoox gioca sulla doppia «oo» del nome, che è stata scelta per rappresentare il codice binario, racchiuso da Y e X, ossia i cromosomi maschili e femminili. Fa quindi riferimento a una tecnologia sempre in dialogo con gli esseri umani e la loro sensibilità e talento.

Il connubio tra tecnologia e moda non è nuovo: Zara, Diesel, Ralph Lauren e altri giganti della moda stanno cercando di implementare nuovi approcci basati sui dati e sulla tecnologia che producano un’offerta specifica e personalizzata a ogni singolo consumatore, grazie ai dati che su di lui sono stati raccolti.

Se la tecnologia ha portato a tutto questo, chissà nei prossimi anni che cosa sarà in grado di fare. Non ci resta che rimanere sintonizzati per scoprirlo!

 


DALLA VENDITA ALL'AFFITTO DI MOBILI: IKEA E LA SHARING ECONOMY

di Giulia Vecchi

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Dopo la proposta di creare veri e propri piccoli negozi all'interno della vita cittadina, Ikea approda con una nuova idea. Già da qualche tempo per la casa svedese non si parla più solo di vendita di mobili. Dopo lo sviluppo del progetto di offerta dell’usato, l’azienda ha ulteriormente deciso di dare la possibilità ai propri clienti di affittare i mobili per un arco di tempo limitato.

Questa volta la scena vede come protagonista la Svizzera come punto di partenza di questo progetto, con l’obiettivo di sviluppare una sharing economy, attività che l’azienda vedrebbe come un mezzo utile per rimanere al passo con i tempi, colpendo per l’appunto un target prettamente giovanile e dinamico.

Dalle parole rilasciate a NZZ am Sonntag da Jesper Brodin, Ceo di Ikea, l’idea infatti sarebbe quella di rivolgersi, oltre che a un pubblico in cerca di risparmio, a un target composto da studenti e lavoratori fuori sede, i quali non hanno una vera e propria necessità di acquisto duraturo nel tempo, data la loro breve permanenza nei rispettivi luoghi di studio e lavoro.

Come riporta anche l'Huffinton Post, secondo Tilman Slembeck, professore di economia all'Università di Scienze Applicate di Zurigo, il fatto che questa possibilità si sia presentata così tardi è: "Una sorpresa. In America il noleggio dei mobili è storia vecchia". In questo modo Ikea coprirebbe una grande fetta di mercato.
Ci sono anche degli svantaggi. Ad illustrarli è Christian Fichter, psicologo di business presso l'Università di Scienze Applicate di Kalaidos. Secondo lo studioso infatti il noleggio di mobili potrebbe essere alla lunga più costoso di quanto non lo sia l'acquisto diretto, soprattutto se l'affitto avviene in brevi periodi.

Al momento non sono state fornite ulteriori informazioni, se non la certezza che questa proposta prenderà piede al più presto ad ampio raggio. Non resta quindi che aspettare e vedere che risvolti avrà questa strategia.


FACEBOOK APRE I SUOI POP-UP STORE

di Alessia Pizzuti

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Dovevamo aspettarci anche questo: Facebook ha deciso di aprire la sua piattaforma digitale ad una realtà più fisica, più terrena lanciando una serie di pop-up store in UK e negli Stati Uniti proprio per questo Natale.

L’idea nasce grazie alla collaborazione con la catena di distribuzione Macy’s che attraverso la formula di vendita temporanea punta su una strategia vincente per dar visibilità ai brand digitali che hanno trovato fortuna su Facebook e Instagram per incrementarne la propensione alla spesa da parte del consumatore.  I corner di attività sono facilmente riconoscibili grazie ai display che ricordano tipicamente quelli della pubblicazione dei post sul famoso network, completo di riquadro immagine e pulsante per emulare un acquisto nella vita reale.

Momentaneamente prendono parte a quest’iniziativa marchi d’abbigliamento, cibo, bellezza e altri, destinando il ricavato ad associazioni cui notoriamente fanno fede. Va inoltre specificato che né Facebook e né Macy’s percepiscono guadagno da quest’attività; aziende coinvolte e pmi mantengono i loro introiti invariati.

Sempre più aziende digitali stanno entrando nel mondo della vendita al dettaglio e Facebook è l'ultimo esempio di questa tendenza.

Sono molte le ragioni che stanno alla base di questo progetto.

Innanzitutto, creando un contatto diretto con il negozio tradizionale si garantirebbe una sorta di legame con lo store fisico e il suo abituale consumatore non trascurando le piccole fette di mercato. Potrebbe essere allo stesso modo un’occasione per convincere i rivenditori locali ad investire maggiormente sulle inserzioni del social e conseguentemente nella rete contatti, altresì una strategia per fidelizzare diversi tipi di business.

Sarà per noi inevitabile immaginare che possa aprirsi la possibilità di inaugurare una serie di store fisici tutti blu; veri e propri punti vendita aperti al pubblico con l’inconfondibile firma del social network. Un vero e proprio trampolino di lancio per un business più solido che possa accrescere l’impronta fisica del mercato del dettaglio.

 


Da e-commerce a “banca”, la nuova strategia di crescita firmata “Amazon”

di Alessio Artista

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Amazon ha ben chiaro che il suo successo dipende anche dai suoi rivenditori, ed è così che nel 2011 nasce Amazon Lending, una piattaforma di erogazione di prestiti alle PMI (piccole e medie imprese) presenti in qualità di rivenditori sulla piattaforma Amazon degli Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone.

Siete una PMI e siete stati scelti dall’algoritmo di Amazon? Ora potrete chiedere il prestito a breve termine (massimo 12 mesi) che avete atteso, e che si tratti di 1000$ o di 750mila, questi saranno accreditati il giorno stesso.

E le garanzie? Le garanzie richieste, in caso di mancato pagamento, sono la congelazione della merce che il venditore detiene nel magazzino Amazon e il blocco della vendita fino al pagamento della rata dovuta.

L'ascesa di Amazon nel settore finanziario sembra solo agli inizi. Infatti, in attesa dell’ingresso in Italia della piattaforma di erogazione di prestiti, Amazon lancia “Amazon Pay”, un servizio di pagamenti digitali che permette di effettuare acquisti online pagando con il proprio account Amazon. Ciò significa che è possibile acquistare beni o servizi da siti esterni ad Amazon senza dover inserire i dati della carta di credito e l’indirizzo di spedizione.

“Amazon Pay” però non si ferma qui. Il gigante del web è già pronto ad inserire il portafoglio digitale come mezzo di pagamento negli store fisici, sfidando così “Apple Pay”.

Come si difenderanno i concorrenti di Amazon?


NEAM OTTOBRE 2018

Ottobre volge al termine e mentre tu sei indaffarato nello studio o nel lavoro, il mondo che ti circonda cambia e si evolve velocemente più di quanto immagini.

Ma tranquillo/a ci pensa NEAM a tenerti aggiornato/a!

Abbiamo scelto per voi:

1. Novità sorprendente per il colosso svedese: IKEA conquista il centro città!

2. Realizzare un business senza marketing? Parola di Maison Hermès.

3. Il conto? Te lo pagano i followers.

4. Perchè Porsche non produrrà più veicoli diesel?

5. Hitachi punta sulla social innovation.

Buona lettura!

  1. NOVITA' SORPRENDENTE PER IL COLOSSO SVEDESE: IKEA CONQUISTA IL CENTRO CITTA'! 

     di Elena Carnevali

                                                                                                                                                                                                                                                                                         Tempo di lettura: 2 minuti

Appare profondamente radicale la novità che ha scelto di introdurre l’azienda d’arredamento.

IKEA, infatti, mira ad arrivare con piccoli negozi nel cuore cittadino stravolgendo completamente quella che, fino ad ora, sembrava essere la strategia commerciale vincente. Non si tratterà, però, di una sostituzione, bensì di un’aggiunta.

I negozi non faranno da magazzino bensì solo da espositori: sarà data la possibilità di ricevere i mobili direttamente a domicilio, proprio come succede con i prodotti ordinati tramite canali online. Soltanto prodotti di oggettistica potranno essere acquistati direttamente nel punto vendita.

L’obiettivo dell’azienda è proprio quello di contrastare l’e-commerce, che sta ormai rivoluzionando il commercio moderno. Secondo l'ultimo report di Nielsen sull’e-commerce nel mondo, le vendite globali online stanno crescendo quattro volte più velocemente delle vendite offline.

Per Ikea, le vendite online sono aumentate del 45% nei primi otto mesi dell'anno e hanno rappresentato quasi l'8% del totale.

Per il momento, il test è stato avviato solo a Stoccolma e a Madrid.

Che ne sarà del futuro di IKEA? Il cambio di strategia porterà a risultati positivi? Soltanto il tempo potrà darci le riposte a questi quesiti… non resta che godersi le spettacolo!

 

2. REALIZZARE UN BUSINESS SENZA MARKETING? PAROLA DI MAISON HERMES! 

di Francesca Cisternino

                                                                                                                                                                                                                                                                                                  Tempo di lettura: 2 minuti

Hermès è un’importante azienda francese di moda, nata  nel 1837, quando Thierry Hermès, sellaio, aprì a Parigi una bottega per bardature e finimenti da cavallo. Successivamente, negli anni 1870, i successori trasferirono l'attività in rue du Faubourg-Saint-Honoré, nella sede che è divenuta storica e che tuttora è il quartier generale della maison e la sua passerella commerciale.

Oggi il brand deve la sua notorietà soprattutto ai foulard di seta, ai gioielli ispirati al mondo equestre e al gran successo di “Birkin”( borsa realizzata dagli artigiani di Hermes che prende il nome dall’attrice Jane Birkin).

Questo mese la maison ha deciso di riposizionarsi sul mercato del lusso, con il preciso obiettivo di attirare nuova clientela che possa innamorarsi del brand e aspirare ai prodotti anche più celebri (e costosi).

Come? “Con un approccio marketing anti-marketing: Barret indossa una felpa grigia in edizione iperlimitata. Non in vendita. E le richieste certo non mancano“ afferma Florian Craen, vicepresidente esecutivo delle vendite e della distribuzione di Hermès.

L’anno scorso la società ha registrato una redditività record seguendo questa filosofia anti-marketing; ma quindi come hanno potuto raggiungere un volume di vendite così ampio? Come è possibile che in un’epoca dominata da influencer e comunicazione virale sempre più aggressiva, Hermès non ha un reparto marketing?

Barret, direttore artistico dell’universo femminile della maison spiega di aver incentrato l’attenzione sull’esclusività, organizzando per esempio eventi pop-up nelle capitali europee; accenna inoltre di aver affidato ad un team di comunicazione la gestione della stampa e ad un team creativo lo sviluppo di campagne stagionali.

La società non ha mai esitato nel promuovere l’immagine del brand : solo nel 2017 ha speso 275 milioni di euro in “spese di comunicazione”, e sicuramente non è una cifra che passa inosservata.

Ma queste serie di operazioni, non sono esse stesse parte integrante di una strategia di marketing?

 

3. IL CONTO? TE LO PAGANO I FOLLOWERS.                                                                                                                                                                                                                   

   di Marta Candito

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Dimenticate i vecchi buoni sconto, i menù promozionali, le offerte del giorno...da oggi più sei social più risparmi! No, non stiamo parlando di una puntata di Black Mirror o di una trovata pubblicitaria, ma dell'idea di due giovani padovani diventata realtà. A Milano, nei pressi di Porta Romana, nasce il primo ristorante giapponese dove è possibile mangiare del sushi di qualità e chissà, anche gratuitamente.

Proprio così, "This is not a sushi bar" ,di Matteo e Tommaso Pittarello, è un ristorante a prova di followers.

Il sistema è molto semplice, se sei un sushi lover ed un appassionato di Instagram ti basterà ordinare un piatto, fotografarlo e pubblicarlo in tempo reale sul tuo account personale ricordandoti di inserire il tag @thisisnotasushibar e l'hashtag #thisisnotasushibar.

A questo punto tutto dipende dai tuoi followers: da 1000 a 5000 si ha diritto a ricevere un piatto gratis, da 5000 a 10000 il numero di pietanze gratuite diventa due. Il gioco si fa più interessante per coloro che oscillano tra i 10000 ed i 50000 followers, in questo caso le pietanze raddoppiano, da due si passa a ben quattro e da quattro a otto per chi ha da 50000 a 100000.

*Rullo di tamburi* tutti coloro che hanno più di 100000 seguaci si portano a casa l'intero ordine offerto dal ristorante. Prima di uscire dal locale occorrerà presentare in cassa e allo "store manager" l'effettiva pubblicazione del post.

L'obiettivo di questo innovativo metodo di pagamento? Attirare l'attenzione dei grandi e piccoli "influencers" cercando di avere un più capillare ritorno sul fronte pubblicitario. L'iniziativa si estende anche a tutti coloro che non hanno raggiunto i 1000 followers, questi infatti possono iscriversi alla newsletter e sperare di ricevere un piatto in omaggio.

Quest'idea sembra sposarsi perfettamente con il panorama odierno dove un numero sempre più elevato di persone utilizza le principali piattaforme social non solo per comunicare ma anche per cercare risposte ai propri bisogni.

Così, i fratelli Pittarosso hanno visto nel social network Instagram un mezzo per diffondere il proprio brand a milioni di persone. Tuttavia, bisognerà attendere ancora un po' prima di poter decretare l'effettivo successo del progetto.

 

 

4. PERCHE' PORSCHE NON PRODURRA' PIU' VEICOLI DIESEL? 

   di Dario Iudice

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Caro Diesel ci eravamo tanto amati!

 

La casa automobilistica tedesca Porsche, ha scelto di abbandonare il motore diesel e puntare con tutte le proprie disponibilità sull’elettrico e sull’ibrido. Una scelta che sta prendendo piede nel settore automotive.

Il CEO di Porsche, Oliver Blume ha ammesso che, seppur il motore diesel è ancora il più diffuso e utilizzato tra i veicoli nel mondo, è arrivato il momento di optare per la sostenibilità ambientale e di conseguenza di utilizzare motori più puliti come quelli elettrici.

All’inizio dell’anno corrente (2018), è stato annunciato che dal 2022, gli investimenti nelle motorizzazioni elettriche saranno raddoppiati, e dal 2025 ogni modello Porsche avrà una versione sia elettrica che ibrida.

Porsche, inoltre, ha rilasciato una versione elettrica sportiva, la Taycan, (conosciuta precedentemente con il nome di Porsche E), che concorrerà sul mercato con la Tesla Model S.

L’inversione di rotta è data dal fatto che, nel settore Automotive ogni brand sta scommettendo sull’elettrico e sull’ibrido per il futuro, oltretutto negli Stati Uniti, la casa tedesca non ha venduto un modello ad alimentazione Diesel dal 2015, causa il Diesel Gate di Volkswagen (ndr proprietaria di Porsche). Solo l’anno scorso, Porsche ha richiamato 22000 modelli Suv.

 

5. HITACHI PUNTA SULLA SOCIAL INNOVATION 

  di Alessio Artista

Tempo di lettura: 2 minuti

Mentre altri si interrogano fino a che punto sia utile la social innovation, Hitachi risolve problemi con l’uso di tecnologie che erano impensabili fino a ieri.

È il caso del “Modello Oliena” che prende il nome dall’omonimo comune della Sardegna.

Il comune di Oliena con la sua vecchia conduttura perdeva oltre il 50% dell’acqua di una delle poche fonti idriche della Sardegna, la Sorgente di Su Gologone, su cui si basa la vita dei 7mila abitanti del paese.

Con la sfida di trovare un modo per ridurre la perdita d’acqua, al fine di creare una situazione sostenibile, Hitachi ha sottoposto a revisione con sistemi di controllo e gestione della pressione dell’acqua e dell’aria l’intera rete di tubature. Così facendo ha ridotto l’impatto energetico del processo di erogazione e ha ridotto del 50% la perdita d’acqua.

Il successo del "modello Oliena" troverà conseguente applicazione in altri comuni della Sardegna, 30 comuni nel 2017, seguiti da 100 nel 2018 e altri 100 nel 2019, risparmiando acqua e migliorando l'offerta per l'intera isola.

Ma social innovation significa anche “sicurezza”, cosi Hitachi ha sviluppato le telecamere di sicurezza con intelligenza artificiale, in grado di rilevare più di 100 diverse caratteristiche personali. Tra queste figurano altezza, età approssimativa, pettinatura, abbigliamento, borse e perfino il modo in cui le persone si muovono, il tutto senza alcun input da parte di operatori umani, in modo da individuare ed esaminare in tempo reale le possibili minacce alla sicurezza.

 

Queste innovazioni ci porteranno in un mondo nuovo, inesplorato e non di facile comprensione, dove l’utilizzo della tecnologia sarà indispensabile per affrontare anche le scelte più banali, ma allo stesso tempo ci permetteranno di risolvere problemi non risolvibili fino a ieri o, semplicemente, di prendere un aereo in sicurezza.

Ma una domanda sorge spontanea, come sarà la società di domani?

 


NEAM SETTEMBRE 2018

E' il momento di tornare al lavoro !
Settembre si è concluso e ha portato con sé tante novità. Ti sei perso/a le più importanti?

Niente panico, ci pensa NEAM!

Abbiamo scelto per voi:

1. La sharing economy non si ferma mai: con Sofan adesso puoi condividere un divano"

2. Da Versace e Gucci : tutti i marchi della moda venduti all'estero"

3. Il regalo di Huawei ai clienti ... Apple!"

4. Coca Cola compra Costa: sfida a Starbucks"

5. In California, nel 2045, il 100% dell'energia sarà pulita"

Buona lettura!

 

  1. LA SHARING ECONOMY NON SI FERMA MAI: CON SOFAN ADESSO PUOI CONDIVIDERE UN DIVANO

     di Roberta Signorino Gelo
    Tempo lettura: 2 minuti

    Assolutamente in linea con le principali passioni nostrane, è nata dall’idea di 3 studenti fuori sede a Milano una start up molto particolare ed è pronta per essere lanciata. Si chiama Sofan e, come anticipa il nome stesso, consisterà in una piattaforma che permetterà di condividere il sofà di casa per la visione di eventi trasmessi in pay tv, primi fra tutti quelli calcistici.

    Il meccanismo è semplice: coloro che vogliono mettere a disposizione la propria abitazione e il proprio abbonamento devono candidarsi come “host” tramite app o sito web versando un piccolo importo. Essi potranno poi recuperare parte del costo della pay tv grazie alle quote che verseranno i singoli “guest” che accetteranno l’invito a condividere la visione dell’evento spendendo comunque sempre meno rispetto ad una serata in un pub.

    Non è stata ancora ufficializzata la data di uscita dell’app per Android e iOs e della piattaforma web, ma voci affermano che il lancio avverrà attorno alla metà di ottobre. È già comunque disponibile sul relativo sito la possibilità di iscrizione come host, gratuita tra l’altro per i primi 100 che decideranno di aderire. La location di lancio è (naturalmente) Milano, scelta proprio per il suo alto numero di studenti fuori sede i quali non hanno la possibilità di pagare un intero abbonamento ai servizi pay per view e che rappresentano un target ideale per la loro tendenza alla socializzazione. Ebbene sì, perché l’obiettivo principale della start up è proprio quello di incoraggiare perfetti sconosciuti che condividono una passione a trascorrere una serata o un pomeriggio insieme, facendo amicizia ed espandendo la propria rete di contatti.

    L’idea avrà successo? Non possiamo fare previsioni azzardate, ma di certo ci sono i presupposti per un riscontro positivo. Le start up di maggiore successo degli ultimi tempi infatti si basano tutte sul concetto della sharing economy, cioè un modello di business basato sulla messa in condivisione di prodotti o servizi. Esso sta prendendo piede nei settori più disparati come quello dei viaggi, della ristorazione, della logistica e soprattutto dei trasporti (si pensi ai numerosissimi car e bike sharing in giro per le grandi città). La condivisione oggi ormai è moda e consente contemporaneamente un risparmio non irrilevante.

    Su questa scia, cos’altro in futuro potrà essere condiviso?

     

    2.  DA VERSACE A GUCCI: TUTTI I MARCHI DELLA MODA VENDUTI ALL'ESTERO

    di Francesca Bisi
    Tempo lettura: 2 minuti

    Cosa accomuna Fendi, Gucci, Valentino e Versace? Sono icone del Made in Italy e sono tutti di proprietà straniera. Sono il simbolo del Made in Italy, ma sempre più spesso finiscono in mani straniere.

    Questi sono tra i nomi principali che vengono in mente quando si pensa a questa tendenza, ma sono tanti gli esempi:

    • Ferragamo, la cui vendita è stata smentita dalla famiglia proprietaria, ma che da settimane è al centro di rumor secondo cui sarebbe nel mirino di Lvmh, il colosso francese del lusso di Bernard Arnault
    • Loro Piana, storico marchio piemontese delle lane di pregio, entrato nel 2013 nell’orbita di Lvmh
    • Valentino è saldamente nelle mani del fondo del Qatar Mayhoola
    • Il marchio Krizia è stato comperato quattro anni fa dai cinesi di Marisfrolg
    • La Perla è passata nelle mani degli olandesi di Sapinda.
    • Federico Marchettiha venduto la sua piattaforma di vendite on line Yoox-net-à-porter agli svizzeri di Richemont.

    Tutti questi passaggi di proprietà non vanno però visti sempre in modo negativo: spesso si sono tradotti in investimenti e ulteriore crescita, non perdita di lavoro in Italia.

    Ma cosa si cela dietro a questo cambiamento?

    Sicuramente al Made in Italy va imputato un problema di dimensioni e il confronto con alcuni gruppi esteri concorrenti è spesso impari. Questo comporta che spesso le aziende italiane diventino prede di acquisitori esteri: lo stesso presidente di Confindustria Moda, Claudio Marenzi, spiegò in passato che forse dietro alla mancanza di grandi poli aggregatori italiani del lusso ci potrebbe essere un maggiore legame degli italiani con il prodotto, ma aggiunse, «non c’è stata nemmeno la finanza ad aiutarci».

    A conferma di questa tendenza, basti pensare all’accordo che ha portato la maison, fondata da Gianni Versace nel 1978, oltreoceano. La Micheal Kors Holding – che verrà presto rinominata Capri Holding – ha acquistato l’impero della medusa per 2.12 miliardi di dollari, il doppio del loro fatturato attuale e ha già annunciato grandi progetti, tra cui l’apertura di 100 nuovi punti vendita e l’espansione dell’e-commerce. Per Versace questo non è un passo indietro, anzi, questo consentirà di raggiungere il suo pieno potenziale a detta di Donatella Versace, che rimarrà direttrice creativa del marchio.

    Infatti, anche le collezioni di Fendi, Gucci e Valentino continuano a essere disegnate da stilisti italiani.

    Ma nel Made in Italy c’è anche chi resiste. Giorgio Armani, re delle passerelle da quattro decadi ha più volte ribadito di non essere interessato a cedere il controllo della sua azienda, così come Prada che resta saldamente in mano alla sua fondatrice Miuccia. Insieme a loro Moncler, Ferragamo, Etro e Missoni rimangono italiani di nome e di fatto. Della stessa opinione anche il duo composto da Domenico Dolce e Stefano Gabbana che solo qualche mese fa aveva dichiarato che il loro brand morirà con loro. “Abbiamo rifiutato tutte le offerte di acquisto. Puoi avere tanti soldi, ma se non sei più libero che te ne fai?”

     

    3.  IL REGALO DI HUAWEI AI CLIENTI... APPLE!

    di Dario Consoli
    Tempo lettura : 2 minuti

    21 settembre 2018; anche se le prenotazioni online con consegna a domicilio non le rendono più necessarie, le lunghe code di fronte agli Apple Store nel Day One sono ormai una tradizione per gli amanti della Mela, che anche quest’anno si sono ritrovati davanti agli store, già alle prime luci dell’alba, pronti ad accaparrarsi i nuovi IPhone XS e iPhone XS Max.

    A Singapore, Paese che grazie al fuso orario è stato uno dei primi a poter mettere in vendita i nuovi smartphone dell’azienda di Cupertino, erano più di 400 le persone che si sono riunite in questa sorta di rito collettivo che ogni anno coinvolge migliaia di fan del Melafonino.

    Huawei, che negli ultimi anni è riuscita a diventare una minaccia reale sia per Apple che per Samsung nel mercato degli smartphone, non è rimasta a guardare ed ha colto subito l’occasione per continuare la sua “battaglia” contro il colosso statunitense. La società cinese, che già si era resa protagonista di una frecciatina sui social subito dopo la presentazione dei nuovi iPhone, il 12 settembre, “ringraziandoli di cuore per aver lasciato tutto invariato e non essersi resi protagonisti di nessuna evoluzione”, ha deciso di sfruttare il giorno del lancio dei nuovi device a marchio Apple per mettere in atto un’interessante campagna di guerrilla marketing.

    La trovata pubblicitaria messa in atto da Huawei si è svolta proprio di fronte all’Apple Store di Orchard Road, a Singapore. Il produttore cinese ha inviato sul posto alcuni dipendenti con l’obiettivo specifico di distribuire gratuitamente dei Power Bank nuovi di zecca a tutte le persone che quel giorno si erano messe in coda in attesa di acquistare un iPhone XS. La confezione regalo di Huawei destinata ai più fedeli clienti Apple, conteneva un biglietto con la scritta: 

    “HERE’S A POWER BANK. YOU’LL NEED IT. COURTESY OF HUAWEI.”

    (QUESTO È UN POWERBANK. NE AVRAI BISOGNO. PER GENTILE CONCESSIONE DI HUAWEI)

    La provocazione è un chiaro riferimento alla ridotta durata della batteria degli iPhone in confronto ad altri smartphone Android. Il gruppo di Cupertino infatti utilizza batterie meno capienti, 2.658 mAh (iPhone XS) contro i 4.000 mAh del Huawei P20 Pro, per questioni legate a garantire un design ultra sottile che però ne riducono l’autonomia.

    Nella nota si sottolinea anche la “gentile concessione di Huawei”, volendosi dimostrare attento alle esigenze dei clienti; il prezioso accessorio offerto in dono infatti, non è un prodotto di seconda fascia o una rimanenza di magazzino. Stiamo parlando di un Power Bank da 1.000 mAh con supporto alla tecnologia di ricarica rapida proprietaria SuperCharge che normalmente viene venduto al pubblico ad un prezzo non inferiore ai 50 euro.

    Fedeltà ad Apple o meno, di sicuro anche gli italiani sarebbero stati molto contenti di ricevere un regalo del genere recandosi presso uno store in attesa di acquistare i nuovi modelli di iPhone. Ma l’azione di marketing promossa da Huawei sembra sia stata destinata soltanto ad alcuni mercati cruciali per il brand e di certo la Cina, in questo momento, lo è più di qualsiasi altra nazione del vecchio continente.

    Da parte di Apple non è giunta nessuna contro risposta, in linea con la politica di Tim Cook che tende ad astenersi da diatribe con i competitor.

     

    4.  COCA COLA COMPRA COSTA: SFIDA A STARBUCKS

    di Leonardo Greco
    Tempo durata: 2 minuti

    La compagnia Usa acquisisce la catena del caffè di proprietà di Whitbread: la seconda più grande del mondo dopo Starbucks.

    Costa Coffee è stata fondata a Londra nel 1971 dai fratelli Sergio e Bruno Costa come azienda di commercio all'ingrosso che riforniva di caffè tostato i ristoratori e le caffetterie italiane specializzate.

    Whitbread (azienda multinazionale britannica, quotata alla borsa di Londra, fondata nel 1742  che ha come origine la produzione della birra) acquista Costa Coffee nel 1995 per 19 milioni e con solo 39 punti vendita, è cresciuta fino ad arrivare a 3.800 sedi in 32 paesi e oltre 8.000 distributori automatici. Alla fine del 2010, la società aveva sorpassato Starbucks nel Regno Unito, raggiungendo una quota di mercato del 37,6% misurata dai ricavi.

    In aprile la Whitbread, che ha la sua divisione più grande nella Premier Inn, ovvero il più grande marchio alberghiero nel Regno Unito, dichiarò la vendita di Costa Coffee visto la pressione degli investitori sulla separazione del business del caffè con quella dell’ attività alberghiera nonostante una chiusura di bilancio (avvenuta il 31 marzo) di 1,292 miliardi di sterline.

    Ad aggiudicarsi l’ acquisto, ad un valore di 3,9 miliardi di sterline, ovvero 4,4 miliardi di euro è stata la compagnia statunitense Coca Cola la quale vede le bevande calde uno dei pochi segmenti restanti del panorama complessivo del beverage in cui essa non ha un marchio globale. James Quincey, CEO di Coca Cola ha dichiarato: “Costa ci dà accesso a questo mercato attraverso una forte piattaforma del caffè”.

    Riuscirà la multinazionale statunitense ad abbattere la concorrenza di un colosso del settore come Starbucks?

     

    5. IN CALIFORNIA, NEL 2045, IL 100% DELL'ENERGIA SARA' PULITA                                        

    di Dario Iudice
    Tempo lettura: 2 minuti

    Con 43 voti favorevoli contro 32, l’assemblea di Stato della California ha approvato che entro il 2045, tutta l’energia prodotta e utilizzata dovrà essere carbon - free, dovrà quindi provenire da energie rinnovabili, dal solare all’eolico.

    Già ora, in California, la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili è pari al 44 per cento, grazie al calo del costo dei pannelli e alla maggiore efficienza delle pale e dei rotori negli impianti eolici.

    Alcuni addetti ai lavori, i più ottimisti, affermano che il passaggio alle energie rinnovabili potrà essere anticipato, grazie allo sviluppo delle tecnologie e dall’ampliamento delle batterie e dei sistemi di accumulo.

    Attualmente, società come Tesla e alcune aziende cinesi, attraverso le Gigafactories (ndr, enorme fabbrica di batterie alimentate a energia solare), sono al lavoro su piattaforme di sviluppo per aumentare la capacità di accumulo energetico delle batterie, proveniente dalla luce solare.

    Attraverso la logica della curva di esperienza, maggiore sarà l’apprendimento delle nuove tecnologie e di conseguenza all’aumentare del volume di produzione cumulata  il costo medio del bene prodotto diminuisce. Tutto ciò è correlato al livello di efficienza della produzione.

    L’energia rinnovabile è sicuramente meno costosa, ma il problema principale è dovuto alla sua reperibilità. Il sole non splende di notte e alcune volte non c’è vento, tutto dipenderà dalla capacità delle batterie, il cui costo di produzione dovrà diminuire secondo il principio citato prima della curva di esperienza.

    Il miglioramento dell’intero processo dipenderà comunque dall’effettiva domanda di veicoli elettrici e impianti domestici, e quindi dall’effettivo utilizzo.

    Nel frattempo la California vuole portarsi in avanti, inseguendo l’obiettivo di installare pannelli solari nelle nuove case costruite dopo il 2020: non solo per abbassare il costo dei pannelli solari, ma anche per promuovere ed educare i cittadini all’uso delle energie rinnovabili.

     

     

     

     

      

     

     


NEAM AGOSTO 2018

Agosto è il mese in cui tutto si ferma. In Italia più che mai.

Gli uffici chiudono, la gente prepara le valige, spiagge e piscine si riempiono.
Sono tutti fermi.
Ma NOI no!

NEAM AGOSTO è pronto!

Abbiamo scelto per voi:

1. Birkenstock e Supreme: questo matrimonio non s'ha da fare

2. Kalashnikov lancia la sua auto elettrica

3. Starbucks e McDonald's : un progetto per la salvaguardia dell'ambiente

4. Problemi con DAZN?

5. Alla scoperta della domotica con Amazon Experience Center

Buona lettura!

 

  1. BIRKENSTOCK E SUPREME: QUESTO MATRIMONIO NON S'HA DA FARE                             di Asia Bonaldi

Avete presente “I Promessi Sposi” no? Renzo e Lucia, Don Abbondio, Don Rodrigo e via dicendo. Ecco, prendete la storia e cambiate i nomi dei personaggi con i nomi di alcuni dei brand più famosi e amati dai millenials (ma non solo).

Gli sposini della situazione sono i brand Birkenstock e Supreme. Aimè, il ruolo di Don Rodrigo lo riveste proprio il CEO dell’azienda tedesca, Oliver Reichert, che ha rifiutato con fermezza una possibile collaborazione con Supreme, noto marchio americano che inizialmente rivolse il suo sguardo al mondo degli skater e che, crescendo, ha diversificato la propria offerta basandosi principalmente su collaborazioni con altri brand molto noti. Strategia che ha funzionato con marchi come Nike, Vans, Louis Vuitton, Stone Island. Ha funzionato con tutti, tranne che con Birkenstock.

Reichert ha rilasciato un’intervista a The Cut in cui ha spiegato il rifiuto a collaborare con Supreme (ma anche con Vetements). “Non c’è alcun beneficio per noi nell’accettare di prostituirci, perché questa sarebbe solo una forma di prostituzione”, queste le testuali parole rilasciate da Reichert.

Inoltre, facendo un passo indietro nella storia di Brikenstock, notiamo che è stato proprio Reichert a tirare fuori il potenziale nascosto di queste calzature. Convinto del successo che avrebbero potuto raggiungere si è fissato un obiettivo, apparentemente molto ambizioso: vendere 20 milioni di scarpe all’anno, entro il 2020. Obiettivo centrato con ben 3 anni di anticipo!

Una grossa mano al fatturato dell’azienda tedesca è stata data da Céline, nel 2012, che ha deciso di far sfilare le proprie modelle della collezione primavera/estate con addosso un paio di Arizona, nere in visone, di Birkenstock.

Da qui, Birkenstock non è stata più vista come produttrice di scarpe ortopediche, anti-moda e perfette per stare in casa, ma è diventato un vero e proprio Brand, con la B maiuscola.

Le collaborazioni non sono mai mancate ma Reichert ha ammesso di averne rifiutate alcune con veri e propri giganti della moda “perché Birkenstock non aveva bisogno di ulteriori richieste oltre all’intensa produzione da rispettare, soprattutto perché i clienti di quei marchi conoscono e probabilmente già indossano Birkenstock”.

Pochi giorni dopo il rilascio dell’intervista è arrivata, immediata, la smentita da parte di Vetements, che ha precisato che “era in trattative con Birkenstock, in passato, per una collaborazione relativa a una sfilata. Ma il progetto non è andato in porto per questioni tecniche di produzione e progettazione”, mentre da Supreme il nulla.

Insomma, così è stato deciso, questo matrimonio non s’ha da fare… Né domani, né mai!

 

2.  KALASHNIKOV LANCIA LA SUA AUTO ELETTRICA                                                di Marco Scopece

L’azienda Kalashnikov cala un asso inaspettato. Nella continua lotta all’innovazione tecnologica tra oriente ed occidente, all’iconica figura di Elon Musk e alla sua voglia di rendere elettrico il mondo dei trasporti, la Russia risponde con le sue armi migliori. Ed è proprio il caso di dirlo, l’azienda che ha creato uno dei fucili più famosi del XX secolo, l’AK-47, oggi propone al mondo la sua automobile completamente elettrica.
Ma come sono passati dalle armi alle automobili? Procediamo per gradi.
A cavallo tra il 2017 ed il 2018, l’azienda Kalashnikov viene privatizzata: la conglomerata di stato Rostec cede il 26% delle proprie partecipazioni ad enti privati, perdendone la maggioranza e mantenendone solo il 25%.

Il disimpegno dello stato nei confronti dell’azienda produttrice dell’Ak-47 ha richiesto una riorganizzazione dell’azienda stessa che, trovatasi con circa 2 miliardi di rubli (30 milioni di euro) di debito ha iniziato dapprima ad ampliare la propria gamma di armi ed in secondo luogo a diversificare il proprio business.
Se pensavate che le armi fossero un mercato redditizio per tutti, beh questo è il momento di cambiare idea.

Ed ecco dunque che l’Ak-47 si trasforma nella Kalashnikov CV-1, una macchina con un stile retrò, completamente elettrica che dalle prime indiscrezioni sul web dovrebbe avere una batteria da 90 kWh e scatta da 0 a 100 km/h in circa 6 secondi, per un'autonomia di 350 km. La vera novità messa a punto dalla Kalashnikov è l'inverter, ovvero il sistema in grado di trasformare l'energia elettrica continua proveniente dalle batterie in energia alternata per alimentare il motore.
Il passato torna in veste di futuro. Ma la sfida con gli States e con Mr.Musk non sembra ancora decollata perché le prestazioni delle Tesla sono ancora di gran lunga superiori.

La Kalashnikov in questa nuova veste spiazza un po’ tutti: non solo automobili, il processo di diversificazione del business ha portato l’azienda Russa a produrre anche motocicli, una linea di abbigliamento, ombrelli e persino cover per cellulari e oggetti per la casa.
Ma non pensiate si sia rammollita: nella stessa occasione, è stato presentato un robot bipede che sembra uscito da una pellicola cinematografica anni ‘90. La funzione principale? Uccidere

 

3.  STARBUCKS E MCDONALD'S: UN PROGETTO PER LA SALVAGUARDIA DELL'AMBIENTE       di Francesca Cisternino

L’attenzione per la salvaguardia dell’ambiente si diffonde giorno per giorno , sempre più velocemente tra le diverse realtà aziendali.

Ma chi l’avrebbe mai detto che due concorrenti agguerrite a livello globale nel tentare di strapparsi a vicenda i clienti ai quali fornire caffè e bevande, si sarebbero alleate nel nome della sostenibilità? Ebbene sì,  Starbucks e McDonald’s hanno un obiettivo comune: produrre un bicchiere completamente green.

Ma questi prodotti non erano già riciclabili?

Sì, infatti i bicchieri utilizzati attualmente dai due giganti del food sono già riciclabili a livello tecnico ma non esiste uno standard universale per riciclare correttamente questo oggetto, che quindi potrebbe essere riciclato correttamente a New York ma non a Detroit, a seconda di come la raccolta differenziata venga gestita.

Starbucks e McDonald’s insieme distribuiscono annualmente il 4% dei 600 miliardi di bicchieri nel mondo e rappresentano due delle prime tre catene Food & Beverage più popolari, quindi migliorando il riciclaggio delle coffee cup si darebbe una svolta ecologica al settore .

Questo progetto a cui hanno preso parte anche Subway e Burger King prende  il nome di THE NEXTGEN CUP CHALLENGE: dal primo giorno di settembre, imprenditori,ricercatori, creativi e start up impegnate sul fronte della lotta allo spreco sono invitati a presentare le proprie idee.

I 7 progetti vincitori della sfida  potranno accedere al programma di incubazione che per 6 mesi li aiuterà a sviluppare il prodotto su ampia scala.

L’ iniziativa vede coinvolti il WWF, accademici e ricercatori , l’industria della plastica e della carta e la piattaforma di investimento Closed Loop Partners, la quale opera a sostegno dell’economia circolare, finanziando progetti sostenibili.

La challenge fornirà sovvenzioni a buone idee e aiuterà le startup a lavorare insieme per fornire soluzioni pronte per il mercato.

Marion Gross ( chief supply chain officer di  McDonald’s Stati Uniti) ha dichiarato: “Nella sicurezza alimentare non c’è alcun vantaggio competitivo. Dobbiamo tutti portare soluzioni e assicurarci di stare attenti all’interesse pubblico. E’ un problema sociale ed esiste un modo in cui possiamo venirne fuori insieme, non come concorrenti, ma come risolutori di problemi. Possiamo usare la nostra scala collettiva per fare la differenza”.

Hai qualche idea per migliorare il riciclaggio delle coffee cup e incentivare la tutela dell’ambiente?

Leggi il bando e partecipa al progetto!

 

4.  PROBLEMI CON DAZN?                                                                                                        di Jacopo Colavecchia

Criticata e contestata sin dal principio, la piattaforma Dazn continua a scatenare l’ira dei tifosi soprattutto dopo le prime due giornate di campionato.
Doveva essere la novità che permetteva all’Italia e soprattutto al calcio italiano di rilanciarsi rispetto agli altri campionati, ma l’esordio della piattaforma targata Perform, è stato tutto fuorché positivo.
I tifosi non hanno potuto seguire in maniera scorrevole nessuna delle partite offerte da Dazn, in particolare le due più importanti dell’esordio della piattaforma: Lazio-Napoli e Sassuolo-Inter. La piattaforma non ha retto l’elevato numero di utenti collegati nello stesso momento, incappando in problemi di connessione e di buffering.
La cosa, che ha mandato ancor di più su tutte le furie i tifosi, è stata l’arroganza del colosso Perform nel definire i problemi come “irrilevanti e prontamente risolti”, nonostante così non fosse.
Al termine della prima giornata di campionato, Il CEO di Dazn è tempestivamente intervenuto per scusarsi dei problemi verificatisi e per assicurare che per le successive partite sarebbe filato tutto liscio. Ma, purtroppo per i tifosi, così non è stato e anche le partite della successiva giornata (in particolare Napoli-Milan) hanno riportato i soliti problemi di buffering e connessione della settimana precedente, segno di un sistema che, almeno per ora, proprio non funziona. Quindi Perform, per calmare le acque, ha annunciato “ulteriori investimenti per migliorare i servizi”.
Il campionato non è entrato nel vivo e già siamo allo scontro totale, tanto che il Codacons ha denunciato sia Dazn che Sky per pratiche commerciali scorrette nei confronti dei tifosi. Già! perché alla fine, gli unici a rimetterci sono sempre loro.
5. ALLA SCOPERTA DELLA DOMOTICA CON AMAZON EXPERIENCE CENTER                                    di Benedetta Ruffolo

Da molto tempo ormai sentiamo parlare di IoT e domotica. Ma cosa sono?

Per IoT si intende l’internet delle cose. Espressione utilizzata da qualche anno, per indicare apparecchiature e dispositivi - diversi dai computer - che utilizzano una connessione internet. Si passa dai sensori per il “fitness”, automobili, climatizzatori, ma anche elettrodomestici, lampadine e telecamere.

Obiettivo?

Semplificare la vita, automatizzando alcuni processi e mettendoci a disposizione informazioni che prima non avevamo. Esempi sono le strade intelligenti, che sono in grado di dialogare con le automobili, i semafori e la segnaletica per ottimizzare il traffico o ridurre l’inquinamento e i termostati che sono in grado di stabilire la temperatura adatta per ogni momento, permettendo così di risparmiare energia.

Pensate ora di avere la possibilità di sapere se il vostro frigo ha il necessario per la cena, ma siete fuori casa. Con un semplice click sul proprio smartphone si può ottenere una risposta, ecco questa è la domotica.

La domotica è l’applicazione dell’IoT nelle abitazioni. Ciò rende le case intelligenti e capaci di utilizzare i dati ambientali per il loro funzionamento, in modo da rispondere alle esigenze dei proprietari.

Le continue innovazioni tecnologiche portano sul mercato dispositivi e apparecchiature altamente performanti, ma non bisogna dare per scontato che gli utilizzatori sappiano da subito utilizzarle o quantomeno comprenderne le funzioni.

Per questo motivo Amazon ha pensato di creare gli Amazon Experience Center. Nel 2014, Il colosso di Jeff Bezos ha introdotto sul mercato Alexa, l’assistente vocale personale che è in grado di interagire con la voce, fissare appuntamenti, riprodurre musica e dare informazioni sul meteo e il traffico, inoltre è in grado di controllare diversi dispositivi “intelligenti”, fungendo da sistema di automazione per la gestione della domotica. Dal momento che non tutti riescono a stare al passo con le nuove tecnologie, Amazon ha creato una nuova catena di showroom, chiamata appunto Amazon Experience Center, per consentire alle persone di toccare con mano i vantaggi delle case intelligenti.

Per la realizzazione degli showroom Amazon ha stretto una partnership con l’impresa di costruzioni Lennar, che ha installato i dispositivi quali: gli Amazon Dash Button, le TV collegate al sistema Fire TV di Amazon e i prodotti che interagiscono con Alexa, all’interno degli showroom. Sarà possibile quindi controllare tutti i dispositivi che sono connessi quali ad esempio: luci, tapparelle, termostato o televisione.

Gli Amazon Experience Center non saranno solamente delle rappresentazioni delle case modello, dove le persone potranno toccare con mano le soluzioni smart della case, potranno inoltre essere utilizzate, per ordinare dei servizi a domicilio presenti nell’Amazon Home Services, che permettono ad esempio di prenotare un elettricista o un idraulico.

Il direttore generale di Amazon Services, Nish Lathia, ha spiegato che la società voleva che i propri clienti testassero le soluzioni smart e i vantaggi e le comodità di Alexa, in un vero contesto domestico. Se i dispositivi e le attrezzature smart sono il futuro delle abitazioni, Amazon, riconosce il vantaggio per i consumatori di conoscere appieno le funzionalità e gli utilizzi.

Per il momento il progetto sarà attivo solo in America, dove Amazon conta di aprire 15 “centri esperienziali” nelle città di Dallas, Atlanta, Los Angeles, Miami, Orlando, San Francisco, Washington Dc e Seattle.


NEAM LUGLIO 2018

 

Dopo un caldo mese di Luglio, NEAM vi offre fresche notizie!

Abbiamo scelto per voi:

1. Amazon conquista i farmaci da banco

2. Satispay e la corsa al mobile payment

3. Walkee: la startup che trasforma i passi in energia elettrica

4. Facebook investe nella realtà aumentata. Una startup italiana pensa marketplace

5. Smart mobility: la Volkswagen si prepara al futuro

Buona lettura!

 

  1. AMAZON CONQUISTA I FARMACI DA BANCO                                                       di Arianna Ziveri 

 

“Il mercato è ancora una volta nelle mani di Amazon”. A confermare questa affermazione è proprio l’ultimo annuncio di Amazon. Amazon comprerà il piccolo PillPack online per farmacia. Questa mossa metterà il più grande rivenditore online al mondo, qual è Amazon, in concorrenza diretta con catene di drugstore, distributori di farmaci e gestori di benefit farmaceutici.

Chi l’avrebbe mai detto che Amazon si sarebbe spinto così oltre i confini del rivenditore standard?

Ma andiamo più nel dettaglio, quali sono le intenzioni di Amazon verso PillPack?

PillPack fornisce farmaci prescritti e altri servizi pre-ordinati a persone che assumono più farmaci, è un mercato in crescita poiché la popolazione americana invecchia e richiede un trattamento per più condizioni complesse e croniche.

Amazon, quindi, è entrato in gioco e sta gareggiando per una quota di quello che è un mercato totale di farmaci da prescrizione da oltre $ 450 miliardi, secondo la società di ricerche IQVIA.

Sebbene PillPack si aspetta che le vendite superino solo $ 100 milioni (circa) quest'anno, l'enorme base di clienti di Amazon e l'infrastruttura di spedizione esistente potrebbero consentire all'azienda di crescere rapidamente. Amazon potrebbe anche negoziare direttamente con le aziende farmaceutiche, dando loro la possibilità di offrire farmaci generici economici anche ai clienti senza assicurazione sanitaria, secondo gli esperti del settore. Ma dovrà affrontare una concorrenza profondamente radicata dominata dalle farmacie gestite da CVS Health, Walgreen Boots Alliance e Walmart Inc e dai benefici della farmacia forniti da CVS, Express Scripts UnitedHealth Group.

Come sostiene Neil Saunders, Managing Director di GlobalData Retail, l'acquisizione di PillPack da parte di Amazon è un avvertimento di quello che sta per diventare una grande battaglia all'interno dello spazio farmaceutico.

Il potenziale dell'operazione di sconvolgere i principali attori della filiera farmaceutica a livello nazionale sta avendo il suo seguito: questa operazione di Amazon ha provocato una svendita di azioni dei rivali, mentre l'invio di azioni di Amazon è aumentato del 2,5%. Stiamo assistendo a un crollo delle catene di farmacie e drugstores che hanno perso circa $ 14 miliardi di valore di mercato e a una crescita sempre più rapida di Amazon che ha guadagnato circa $ 5,5 miliardi.                                                                                                                                               Le azioni di CVS chiudono con un 6,1%, mentre Walgreen ha perso il 10%. Le azioni dei drugstores McKesson Corp, Cardinal Health e AmerisourceBergen sono cadute tutte.

La notizia di questa operazione by Amazon arriva appena una settimana dopo che una joint venture di Amazon, Berkshire Hathaway Inc e JPMorgan Chase & Co ha nominato un CEO che avrà il compito di ridurre in modo significativo i costi sanitari per 1 milione di dipendenti.

Sebbene i negozi offline possano sentire gli effetti della competizione di Amazon, le più grandi battaglie saranno probabilmente combattute dalle farmacie per corrispondenza, che generalmente servono pazienti con patologie croniche come diabete e malattie cardiache e che potrebbero richiedere farmaci per controllare la pressione sanguigna, colesterolo e altri problemi.

PillPack, in proposito, ha detto che ha decine di migliaia di clienti in tutto il paese. Ma la sua aspettativa di oltre $ 100 milioni nel 2018 è in aumento rispetto ai concorrenti più grandi. Lo scorso anno il CVS ha incassato circa $ 45,7 miliardi di ricavi dalla sua attività di farmacia per corrispondenza, pari a circa il 15% delle sue dichiarazioni in farmacia.

I benefit manager della farmacia (PBM) negoziano prezzi dei medicinali con obbligo di prescrizione medica per datori di lavoro e gestiscono grandi farmacie per corrispondenza, offrendo incentivi ai pazienti per conseguire le prescrizioni con loro. Medici e PBM hanno a lungo detto che i pazienti che non assumono correttamente i loro farmaci sono una delle cause principali dell'aumento dei costi sanitari, che portano a ricoveri e problemi di salute più gravi. Aziende come PillPack e Express Scripts che offrono servizi di gestione delle cure per migliorare la conformità dei pazienti sono considerate sempre più importanti per aiutare a controllare i costi in aumento.

Qual è il pensiero generale di analisti del settore di questa mossa di Amazon?  Vediamo pareri contrastanti.

L'analista di Mizuho Ann Hynes afferma che le assicurazioni sanitarie e le fusioni PBM di Aetna Inc con CVS e Cigna Corp con Express Scripts "sono ancora più critiche ora".

L'amministratore delegato di Walgreen - Stefano Pessina - in una conferenza ha dichiarato di non essere "particolarmente preoccupato" per l'accordo PillPack. "Il mondo della farmacia è molto più complesso rispetto alla consegna di alcune pillole o di alcuni pacchetti"- sempre Pessina aggiunge - "Sappiamo che dobbiamo cambiare il livello dei nostri servizi per i clienti e stiamo lavorando molto duramente in questa direzione".

Alcuni analisti, invece, hanno minimizzato la minaccia immediata. Ad esempio, l’analista Morningstar Vishnu Lekraj, crede che l'abbiano comprato per conoscere il mercato e per determinare se sono in grado di fare investimenti più grandi.

L'analista di Cantor Fitzgerald, Steven Halper, ha osservato che i PBM in genere richiedono ai membri del piano sanitario di utilizzare le proprie farmacie per corrispondenza. In più, sostiene che PillPack potrebbe essere cacciato dalle attuali reti PBM, specialmente se Amazon ha progetti per aumentare considerevolmente il volume delle prescrizioni.

In una nota di ricerca George Saunders, scrittore statunitense, ha affermato che non solo Amazon ha finalmente fatto una solida mossa nel settore farmaceutico, ma lo ha fatto attraverso un fornitore innovativo che aiuta i pazienti a gestire e organizzare i loro farmaci da prescrizione. Inoltre, aggiunge che a suo parere questo "è solo il primo gioco" in una strategia sempre più aggressiva di Amazon per un ruolo molto più significativo in farmacia.

Dopo questi pareri discordanti di analisti e scrittori, che ne sarà di Amazon? Sarà un insuccesso o sarà il nuovo competitor più temuto nell’ambito della vendita di farmaci da banco? Staremo a vedere.

 

2. SATISPAY E LA CORSA AL MOBILE PAYMENT                                                                       di Francesca Cisternino

 

Satispay è l’applicazione gratuita per pagare nei negozi convenzionati fisici e online, per effettuare ricariche telefoniche e inviare denaro ai contatti della propria rubrica telefonica.
Come nasce?
"Dalla scomodità quotidiana di non poter pagare tante spese, specie quelle piccole, con una carta di credito perchè il negoziante sceglie di non accettarla a causa delle commissioni alte. E poi dal fatto che per i giovani anche i contanti non sono comodi. Così abbiamo iniziato a pensare come si poteva fare con il telefonino una delle poche cose che ancora non si facevano " spiega Alberto Dalmazzo uno dei tre soci fondatori.

Alberto insieme a Dario Brignone e Samuele Pinta hanno iniziato a lavorare sul loro progetto nel gennaio 2013 e grazie all'aiuto di Giuseppe Donnagemma hanno raccolto negli ultimi due anni circa 8,5 milioni di euro di finanziamento , toccando nell'anno in corso la soglia di oltre 14 milioni.
In un'intervista Dario Brignone spiega con un semplice esempio le funzionalità di Satispay: “tu scarichi la nostra App e ci dai il tuo IBAN, ossia il numero di conto corrente. Dopo alcuni controlli l’app viene attivata e tu scegli quanti soldi vuoi sul telefonino ogni settimana, proprio come faresti con i contanti. Se hai scelto di avere 100 euro e nella settimana precedente ne hai spesi solo 40, il lunedì prenderemo dal tuo conto 40 euro per riportare la tua disponibilità al livello iniziale. Se non hai speso nulla in settimana non ci saranno operazioni. Se un amico ti ha accreditato 30 euro e ne hai 130, quei 30 verranno bonificati sul tuo conto corrente».

Gli elementi che contraddistinguono questo gruppo di giovani ragazzi sono gli stessi che li "proteggono" dagli altri player del mobile payment , essi sono :
- semplicità, creando un’applicazione intuitiva simile a quelle di messaggistica;
- sicurezza, perché utilizza solo il numero di telefono e l’IBAN dei propri clienti per i pagamenti, rendendo la procedura iniziale un po’ più macchinosa ma il risultato finale sicuramente più safe;
- indipendenza, che è anche la principale differenza rispetto alla maggior parte degli altri player sopra citati.

Satispay inoltre, é riuscita a differenziarsi sul mercato per un motivo ben preciso : mentre i grandi colossi considerano il pagamento un accessorio , spesso funzionale ad alimentare nuovi prodotti , l' innovativa start up italiana ha incentrato il suo core business proprio nel pagamento, offrendo un servizio di alta qualità.

Viene spontaneo chiedersi come a costi così bassi e in tempi molto rapidi possa questo innovativo mobile payment  riscuotere tanto successo e crescere a ritmi frenetici , soprattutto in un settore molto concorrenziale, ricco di grandi player internazionali.

Come guadagnano?
"Con la commissione di 20 centesimi che ogni esercente paga sulle transazioni sopra i 10 euro. E studiamo i modi di far fruttare una piattaforma come questa, con un altissimo grado di personalizzazione: possiamo dire a un esercente che con Satispay può programmare una campagna di sconti rivolta solo a donne tra i 24 e i 33 anni. E alcuni ci chiedono anche di pensare al credito al consumo» chiarisce Samuele Pinta.

Una cosa é certa : la storia di Satispay è ancora tutta da scrivere.

 

3. WALKEE: LA STARTUP CHE TRASFORMA I PASSI IN ENERGIA ELETTRICA                       di Manuela Fiku

Il fatto che l’attività fisica faccia bene sia al corpo che alla mente è avvalorato ormai da secoli (già gli antichi romani dicevano “mens sana in corpore sano”). Camminare per almeno mezz’ora al giorno aumenta la resistenza cardiaca, migliora la forma fisica, incide sull’umore e persino sui neuroni. Ma se a tutto ciò aggiungessimo anche benefici ambientali?

Sembra assurdo, ma grazie a Giuliana Maugeri tutto questo sta per diventare realtà.

Giuliana ha 30 anni, è laureata in ingegneria biomedica al Politecnico di Milano, ha fondato Walkee e proprio grazie a Walkee è stata selezionata per far parte di New Heroes, il progetto di RedBull che racconta la storia dei nuovi eroi del mondo del lavoro.

Ma cos’è Walkee?

Giuliana chiarisce: “Walkee è una mattonella che sfrutta la tecnologia piezoelettrica. Il materiale piezoelettrico è un materiale che se sottoposto a uno stimolo meccanico (quale può essere il passo esercitato da una persona) produce energia elettrica. In particolare, l’idea è quella di catturare l’energia dei passi dei pendolari e convertirla in energia elettrica.”

Come spiega Oscar Montigny di Redbull “La corrente generata viene poi stoccata in degli accumulatori di carica e utilizzata per varie finalità: fornire energia durante un blackout, alimentare (o coalimentare) l’illuminazione nelle stazioni.”

In sintesi, Walkee è una mattonella fatta di plastica riciclata che trasforma i passi delle persone in energia.

Per dare un’idea delle potenzialità di questo progetto, Giuliana ha effettuato uno studio sulla fattibilità e afferma che “utilizzando Walkee per 12 ore si può illuminare la stazione di Milano Cadorna per l’intera giornata.”.

La storia di Walkee è una storia di sostenibilità, è una storia di innovazione ed è una storia di successo. Guardando a questo progetto vediamo energia green, ma la novità non sta nel materiale piezoelettrico quanto piuttosto nella sua portata.

L’idea di sfruttare il calpestio delle persone come fonte rinnovabile infatti, è già stata sfruttata in alcune discoteche come a Rotterdam e a Londra ed è in progetto anche per gli ospedali. La novità sta nella scala e nelle finalità, nell’ottica di pianificare servizi di pubblica utilità.

Entro fine anno verrà implementato un progetto pilota supportato da Polihub e Gruppo Ferrovie Nord Milano. Non sappiamo quali saranno gli esiti quantitativi, ma possiamo già sbilanciarci su quelli qualitativi: il potenziale di Walkee è evidente sia in termini di produzione energetica a costo zero sia di risparmio a medio e lungo termine.

È un’innovazione che porta con sé un valore sociale e, in un’era di robotica e computerizzazione, l’aver conferito alla scienza un approccio così umano è forse la conquista più grande.

 

4. FACEBOOK INVESTE NELLA REALTA' AUMENTATA. UNA STARTUP ITALIANA PENSA AL MARKETPLACE.

di Federica Montalbano

In Italia una fetta molto piccola della popolazione acquista online: alcuni sono frenati nell’acquisto di indumenti o accessori in quanto desiderano prima provarli e poi successivamente comprarli. Molti consumatori spesso si recano nei negozi per provare gli abiti che poi successivamente acquisteranno su internet o direttamente in negozio.

Questo avviene perché il consumatore quando acquista ricerca soddisfazione e fedeltà che si rispecchia nella relazione con i dipendenti dei negozi o con il brand, cercando di creare un’interazione tra sé stesso e il prodotto.

Le nuove tecnologie hanno reso possibile a coloro che sono poco fiduciosi nell’e-commerce di poter provare i loro prodotti prima di acquistarli; non si sta parlando solo di capi d’abbigliamento ma anche di accessori o di mobili.

Com’è possibile tutto ciò? Attraverso la Realtà Aumentata che Facebook sta introducendo per rendere più interattiva la User Experience dei suoi utenti. La feature già visibile a pochi utenti denominata “tocca per provarlo” consente di indossare in modo aumentato un indumento o un accessorio trasformando lo smartphone in un camerino simile a quello di un grande magazzino.

Le aziende che hanno colto questa innovazione sono state Michael Kors, Sephora e Bobbi Brown.

Grazie alla Realtà Aumentata gli annunci pubblicitari su Facebook saranno molto simili ad un camerino virtuale, consentendo così agli utenti di provare e indossare i prodotti pubblicizzati interagendo con la loro versione digitale. Le campagne pubblicitarie verranno prima testate negli Stati Uniti e poi arriveranno anche nel resto del globo.

Il potenziale di crescita del mercato della Realtà Aumentata è in forte aumento: si stima possa raggiungere i 120 miliardi di dollari nel 2020, con un tasso di crescita annua del +180% (fonte: Digi – Capital). Proprio per questo Facebook sta investendo molto in questo settore.

Applicando questa nuova tecnologia al marketing si potrà riscontrare una forte attrattività, tale da poter migliorare l’esperienza di acquisto e di conoscenza dei prodotti.

La startup italiana AR Market, già attiva nel mercato della Realtà Aumentata, si pone come protagonista nella creazione del primo Marketplace dell’AR, che consente di approcciare il mercato “aumentato” in maniera innovativa.

Il logo dello slogan è “Un’App per vederli tutti!”. Il Marketplace di AR Market punta a raccogliere in un’unica applicazione innumerevoli brand con vetrine personalizzate per ogni tipo di esperienza, dal marketing all’intrattenimento, alla didattica, cultura, medicina, industria, fino alla vendita.

Gli ideatori di AR Market annunciano che questa consentirà agli utenti, che vorranno fruire della Realtà Aumentata, di non dover scaricare diverse applicazioni ma di trovarle tutte in un’unica App.

Per cercare potenziali investitori AR Market dal 7 luglio scorso ha lanciato una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Crowdfundme.

Le basi per un’applicazione di successo ci sono tutte e il mercato è in costante mutamento tecnologico che apprezzerà questo modo innovativo di effettuare gli acquisti e chissà probabilmente aumenterà anche la percentuale di shopper che usufruisce dell’e-commerce.

 

5.SMART MOBILITY: LA VOLKSWAGEN SI PREPARA AL FUTURO                         di Caterina Pavarotti

Stare al passo coi tempi significa ripensare il proprio core business sulla base delle esigenze di una società che cambia. È un’urgenza con cui i maggiori produttori di autoveicoli si stanno confrontando ormai da anni. Sempre più ‘sedili vuoti’, sempre meno interazione tra le persone, attività quotidiane che hanno un impatto ambientale preoccupante: da queste considerazioni partono le migliori proposte di re-thinking della mobilità. Inoltre, la possibilità di entrare nel nuovo mercato delle auto elettriche, del car pooling e del ride hailing è un’occasione da non farsi scappare per avere controllo sui nuovi trend.

“Siamo convinti che il mercato del car sharing abbia ancora un grande potenziale” - ha di recente affermato Jürgen Stackmann, direttore vendite di Volkswagen – “la nostra offerta sarà on-demand e costituita esclusivamente da veicoli elettrici. Vogliamo promuovere una viabilità sostenibile e migliorare le condizioni di traffico delle grandi metropoli”.

Sulla scia dell’esperienza di Volvo (M), BMW (DriveNow) e Mercedes/Smart (Car2Go) anche Volkswagen è in procinto di lanciare il proprio brand dedicato alla smart mobility: si chiama Volkswagen WE e dall’anno prossimo sbarcherà nelle maggiori città di Germania (2019), Europa, Nord America e Asia (2020). Con l’obiettivo di offrire una mobilità zero-emissions a tutto tondo, la VW si propone come fornitore unico per tutte le esigenze di mobilità: non solo brevi spostamenti urbani, ma anche tratte più lunghe per i vacanzieri.

Il car sharing – oltre 50 modelli elettrici entro il 2025 – è solo uno dei servizi disponibili sulla piattaforma della casa di Wolfsburg. In fase di elaborazione è anche We Park, una parking app, e We Deliver, per la consegna di pacchi e prodotti, oltre a soluzioni di micro mobilità e di scooter sharing con i modelli a due ruote presentati lo scorso anno: I.D. Cityskater, una sorta di monopattino elettrico con una ruota anteriore e due potsteriori, e I.D. Streetmate, un e-scooter.

Infine Moia, sub brand nato nel 2016 come risposta al traffico globale, mette a disposizione navette elettriche di ultima generazione, dotate di ogni confort e Wi-Fi, per il trasporto di persone (al massimo sei) lungo tratte cittadine. Tramite l’app, gli utenti possono prenotare la propria corsa e l’algoritmo si occupa di organizzare il percorso in modo tale che le stazioni ‘virtuali’ siano posizionate entro un raggio di 2,5km da ciascun passeggero e l’orario di arrivo sia puntuale per tutti. Il prezzo del biglietto è più alto se messo a confronto con quello dei mezzi pubblici, ma rimane più conveniente rispetto ad un taxi.

Sebbene Volkswagen sia un automaker, lo scopo di Moia è quello di ridurre la presenza di autoveicoli sulle strade di almeno 1 milione di unità grazie all’attività di sharing, per ridurre le emissioni di Co2 e l’inquinamento acustico e ‘restituire le città alle persone’.

Questo, dopo il fallimento del progetto Twist, è un interessante tentativo di Volkswagen di rispondere ai cambiamenti della domanda, che soprattutto nelle aree urbane sta trasformando il proprio approccio in relazione alla proprietà dell’automobile.

Sulla base di una ricerca condotta da Alix Partners in Europa, Gran Bretagna e Francia sono i Paesi con maggiore propensione alla formula di ride sharing; al contrario, Italia e Germania preferiscono il car sharing.

In America invece la situazione è decisamente diversa: il car sharing è un prodotto maturo e negli ultimi 4 anni il suo utilizzo è diminuito del 20%, per contro si prevede un aumento del ride sharing del 18%. La Cina dimostra di essere un mercato molto dinamico, con prospettive di aumento di 40 punti percentuali sia su ride che car sharing nei prossimi 12 mesi. In Giappone invece treno e metropolitana continuano ad essere le formule più popolari.

I produttori di automobili si rendono conto che i servizi di car sharing e ride hailing potrebbero erodere le vendite di veicoli, e per non perdere la loro market share stanno mettendo in atto strategie di diversificazione del proprio tradizionale portfolio servizi.

Ma perché lanciarsi oggi in un business che, dati alla mano, risulta poco remunerativo anche per i maggiori competitors?

In primo luogo, si tratta di un’ottima occasione per aumentare la brand awareness dei nuovi prodotti, dato che tutti i modelli utilizzati saranno veicoli elettrici della linea I.D. È una vera e propria rivoluzione del concetto stesso di test drive: gli utenti potranno testare il veicolo di interesse nella quotidianità e per un tempo prolungato, e decidere di acquistarlo solo se veramente convinti. Per clienti e produttori questa soluzione rappresenta senza ombra di dubbio un’opportunità importante, potrebbe però rivelarsi una minaccia per i concessionari.

Inoltre questi servizi sono ad alto valore aggiunto per il cliente, e dunque funzionali a migliorare la Consumer Loyalty rispetto al brand: spesso si inseriscono in un vuoto d’offerta del trasporto pubblico, andando a sopperire alla necessità di spostamenti rapidi in aree non coperte in maniera efficiente.

Tutti i servizi della piattaforma Volkswagen WE vengono gestiti da UMI Urban Mobility International GmbH, sussidiaria interamente di proprietà di Volkswagen, con sede a Berlino e guidata da Philip Reth, che ha commentato “ i nostri clienti si aspettano una flotta ecosostenibile che li porti a destinazione velocemente ad un prezzo onesto. Ed è esattamente questa l’esperienza che offriremo.”

Non resta che attendere il lancio del servizio in Italia, ad oggi previsto per la sola città di Milano.

 

 

 

 


NEAM GIUGNO 2018

BOOM
Per questo fine mese ci sentiamo carichi!
Giugno segna sempre la fine prossima di qualcosa, e vieni ad ogni traguardo arriva il momento di fare un resoconto.

    

Cosa è successo in questo mese?

1.Brand Collabs Manager: Facebook e la democratizzazione dell'influencer marketing

2. CLAIRY: il "vaso smart" per la purificazione degli ambienti indoor

3. Musica, Brand e mistero: ecco chi è LIBERATO

4.Iliad contro tutti: la svolta del mondo della telefonia mobile

5. Partnership tra IKEA e LEGO Group

BUONA LETTURA!

1.BRAND COLLABS MANAGER: FACEBOOK E LA DEMOCRATIZZAZIONE DELL 'INFLUENCER MARKETING

           di Manuela Fiku

" Ci impegniamo ad aiutare i creativi a connettersi con i propri fan e costruire le loro attività, perché hanno alcune comunità più forti e condivisi alcuni dei contenuti più coinvolgenti e creativi. I creatori sono attivi e stimolanti e desideriamo sostenerli nel loro viaggio, che sono solo primi o che fanno già milioni di fan ".

Così Facebook in Newsroom presentava Brand Collabs Manager, un nuovo motore di ricerca dedicato a un brand e creativi.

Ma come funziona questa nuova piattaforma appena lanciata negli States?

Distinguiamo innanzitutto tra brand e creators.

I creators evidenziati avranno inoltre una percentuale associata al loro profilo, corrispondente alla correlazione che vi è col marchio e i requisiti inseriti per filtrare.

In questo modo si troverà subito il creatore in base a:

- caratteristiche del suo pubblico (numerica, età, sesso, interessi e così via)

- talento (il profilo apparirà come una sorta di portfolio)

- collaborazioni precedenti (per capire chi sono stati i partner passati)

Per i creatori si aprono opportunità in più per quanto riguarda l'interesse per la ricerca di talenti.

Ma chi sono i creatori? Influencer, ma non solo. Sono persone che hanno un seguito (da un minimo di 25 000 followers), che sono attive e creative e che riscuotono interesse grazie alle loro pubblicazioni. Influencer professionisti, ma anche semplicemente persone in qualche campo, appassionate di novità, che individuano le cose più promettenti e innovative, le provano in prima persona e le condividono con tutti sotto forma di foto piuttosto che video. Non si limitano quindi a promuovere o a rappresentare un qualcosa, un po’ come fanno gli influencers, ma sono dei veri e propri anticipatori dei trend che scoprono e diffondono l’originalità creando magari contenuti.

Non c’è dubbio ormai, l’interesse di Facebook per l’influencer marketing è fortissimo e concretizzato dai nuovi algoritmi e da nuovi progetti (la novità di Instagram TV ne è una conferma).

Cambia così il ruolo di agenzie ed esperti, si apre una fase di democratizzazione dell’influencer marketing e grazie ai dati che si riceveranno (non più solo big data ma useful data) il pagamento a performance sarà sempre più realtà.

Insomma, Zuckerberg non si ferma. Non ci resta che aspettare, vedere che evoluzione avrà lo strumento e soprattutto quando ci sarà il roll out a livello mondiale per poterlo testare ed esplorare in maniera più diretta: #staytuned.

 

2. CLAIRY : IL "VASO SMART" PER LA PURIFICAZIONE DEGLI AMBIENTI INDOOR

       di Federica Montalbano

Nella Silicon Valley ciò che fa la differenza per diventare un “business man” di successo è la proprietà di un garage e qualche idea stravagante da portare avanti, ma in Italia? Ovviamente alla base vi è sempre un’idea, però questa nasce e si sviluppa nelle aule universitarie, fra gruppi di amici che sognano di diventare imprenditori: questo è ciò che è accaduto ad una startup italiana con il progetto “Clairy”.

I tre giovani fondatori, avendo un prodotto ad alto contenuto tecnologico, per la sua presentazione scelsero un palcoscenico internazionale: il CES di Las Vegas. In quest’occasione il loro progetto venne selezionato per un percorso di accelerazione di 3 mesi in Silicon Valley presso Plug and Play Ventures, che vanta investimenti come Google, PayPal e Dropbox.

Partiamo dall’inizio: come nasce questo progetto? L’idea nacque durante la tesi di laurea in “Design del prodotto per l’innovazione” di Vincenzo Vitiello al Politecnico di Milano nella facoltà di Design che con il collega Alessio D’Andrea ha realizzato un primo prototipo presentato al Salone del Mobile di Milano. Il progetto piacque così tanto al pubblico che i due amici decisero di andare oltre e (non avendo competenze manageriali) si rivolsero a Paolo Ganis, laureato in Management alla Bocconi. Da lì fondarono la startup Talent Garden con sede a Pordenone che poi sbarcò a Las Vegas.

Nello specifico cosa è Clairy? Il “vaso smart” Made in Italy interamente in ceramica è un innovativo sistema di purificazione per ambienti indoor, che combina design, natura e tecnologia; in più è capace di connettersi attraverso wi-fi a tutti i device e gestibile attraverso una App dedicata. La tecnologia presente nel sistema di filtraggio si basa sul principio della fitodepurazione. Le piante hanno la capacità di diminuire gli inquinanti presenti nell’aria, nell’acqua e nel suolo attraverso l’azione di microorganismi generati nell’apparato radicale. Nel vaso di Clairy questo processo, grazie a un cuore tecnologico, viene amplificato facendo diventare la pianta un vero e proprio filtro naturale per l’aria che respiriamo. La pianta che da sempre viene vista come un oggetto ornamentale, inizia a prendersi cura di noi e diventa un oggetto di servizio. Ovviamente non finisce qui, Clairy è dotato di un sistema di self-watering passivo che le permette di prendere in totale autonomia la quantità di acqua di cui necessita.  Molti pensano che la maggior parte dell’aria inquinata che respiriamo sia outdoor, ma in realtà studi dimostrano che non è così; infatti la concentrazione d’inquinamento nocivo nell’aria indoor è 5 volte maggiore. Tutto ciò che è presente all’interno dei nostri uffici o nelle nostre case è fonte attiva di propagazione di numerosi agenti nocivi. Clairy si focalizza sui Composti organici volatili (COV): dai test in laboratorio è emerso che Clairy riesce ad eliminare fino al 93% dei COV e fino al 99% di virus e batteri in 9 ore in una stanza di circa 36 metri. Queste sostanze sono le più comuni presenti nei nostri ambienti ma individuarle è impossibile. In questo ci vengono in aiuto i tre founder, dotando il loro prodotto di un sensore per la qualità dell’aria, la temperatura e l’umidità sviluppando un’App, in grado di monitorare e garantire un buon comfort ambientale.

Un’idea ma soprattutto un prodotto così innovativo e utile non poteva passare inosservato, infatti, anche Bruxelles ha notato le sue potenzialità. L’UE ha deliberato di investire, attraverso il piano Horizon 2020 SME, 2 milioni di euro in questo progetto imprenditoriale.

Dal 2019 sarà disponibile sul mercato NATEDE, che deriva dalla combinazione delle parole natura, tecnologia e design. L’innovativo design interno del NATEDE, unito all’unità tecnologica ed ai biomateriali utilizzati, fanno di questo prodotto un’eccellenza del design e della sostenibilità Made in Italy.

NATEDE è stato premiato al Bosch Pitching Challenge durante la celebre Conferenza Pioneers di Vienna, dove startup e finanziatori si incontrano: questa è un’ulteriore vittoria per il team di Clairy.

In passato al ritorno da Las Vegas, il team aveva lanciato una campagna di crowdfunding prima su Kickstarter, poi su Indiegogo raccogliendo circa 400 mila euro in pre-ordini. Solo con questi pre-ordini l’azienda pianterà 50.000 alberi. I successi non mancano e Paolo Ganis, CEO della startup, che ha sede a San Francisco (California), ha partecipato al G20 in Germania come finalista del premio “Global Youth Entrepreneur Award” che premia i migliori imprenditori under 30 a livello globale.

Il tema della sostenibilità ormai è diffuso in tutto il mondo e anche nel nostro mercato domestico molte aziende si stanno impegnando per difendere e salvaguardare la natura che ci circonda. L’idea è partita da 3 giovani italiani che hanno deciso di impegnarsi per rendere la nostra permanenza indoor più salutare, però per far partire il loro progetto sono dovuti andare “oltre oceano”. Forse sono andati a comprare il garage da cui tutti i più celebri americani sono partiti? Questo non lo sapremo mai, ma una cosa la sappiamo, che per inseguire la loro idea sostenibile hanno fatto di tutto, anche andare a provare a conquistare un nuovo continente. Tu quanto sei disposto a fare per rendere il mondo che ti circonda più sostenibile?

 

3. MUSICA, BRAND E MISTERO : ECCO CHI E' LIBERATO

   di Francesca Cisternino

Dopo il successo sul lungomare di Napoli , non è tardato  il 9 Giugno  il SOLD OUT (in meno di un ora) a Milano: insomma il mistero napoletano senza identità FUNZIONA!

Quello di Liberato è un mistero «powered by Converse», sponsorizzato e, in un certo senso, co-prodotto dal celebre marchio americano di calzature sportive: speciali Converse «griffate» Liberato appaiono nei video dell’artista, diretti da Francesco Lettieri.

Converse non è stata l’unica a interessarsi a Liberato: in occasione del concerto di Napoli, anche marchi come Santàl, Amaro Montenegro e Pasta Garofalo hanno «cavalcato la trigre» con appositi claim sui propri profili social. Ultimo ad aggregarsi, l’Amaro Lucano che in questi giorni ha avvolto nell’iconica felpa del rapper la “pacchianella” della storica etichetta: «Dietro il cappuccio di Liberato potrebbe nascondersi proprio lei», recita il profilo ufficiale Facebook del digestivo

La filiera del marketing applicato alla musica coinvolge musicisti, case di produzione, agenzie di pubblicità e aziende investitrici. «Non c’è uno schema unico», spiega Alessandro Massara, CEO di Universal Music Italia «A volte è l’azienda che si rivolge all’agenzia per chiedere un testimonial, altre è l’artista o la sua etichetta a cercare contatti con un brand potenzialmente interessato a investire».

Il successo di Liberato sta crescendo senza sosta. Nessuno lo ha mai visto in faccia, nei suoi video appare solo di spalle e nei pochi concerti tenuti ha sempre avuto un cappuccio a celare il viso. Ma chi si nasconde dietro l'artista che sta raccogliendo milioni di views su Youtube? Ad ipotizzare la risposta è arrivato lo youtuber Diego Laurenti che in un post precisa come il suo obiettivo non sia “ sapere qual è la faccia di Liberato, quello che ci interessa è il progetto.”

L’ipotesi è che liberato sia un ragazzo che fa parte del progetto di recupero del centro di Nisida, una piccola isola a forma di rosa ( come il simbolo identificativo dell’artista) in cui è situato il carcere minorile maschile. Al concerto del 9 maggio a Napoli infatti, è arrivato con altre persone a bordo di un gommone proveniente esattamente da quella direzione.

Altri indizi , sono i numerosi riferimenti dei testi che citano Nisida e luoghi che si vedono proprio dall’isola dove sorge il carcere; inoltre i suoi brani parlano spesso di libertà e voglia di evadere . La parola “gaiola” in napoletano significa gabbia proprio come il titolo di un suo pezzo “ Gaiola portafortuna”.

All'inizio e alla fine di ogni concerto Liberato suona una sirena a manovella che emette lo stesso suono azionato nelle carceri durante le evasioni. Secondo Laurenti anche il nome Liberato sarebbe un riferimento al fatto che il ragazzo, in regime di detenzione, viene appunto "liberato" grazie ai permessi per portare avanti il progetto musicale sviluppato come attività di recupero.

Avete un’altra occasione per vederlo : 6 Luglio, nella bellissima Arena della Valle d’ Itria a Locorotondo (BA) in occasione del VIVA FESTIVAL.

Vuoi davvero scoprire la vera identità di Liberato?

 

4. ILIAD CONTRO TUTTI : LA SVOLTA DEL MONDO DELLA TELEFONIA MOBILE

di Roberta Signorino Gelo

Sono settimane che si discute ormai dell’approdo della compagnia francese Iliad nel mercato delle telecomunicazioni italiano: tale ingresso, reso possibile dal vuoto di offerta creato dalla fusione Wind-Tre, ha letteralmente sconvolto sia i consumatori sia le imprese che avevano fino a quel momento dominato il settore. L’offerta presentata dal nuovo concorrente infatti non ha eguali: 5,99€ mensili per minuti ed SMS illimitati e soprattutto 30 Giga in velocità 4G+. Tra coloro i quali si sono mostrati diffidenti fin dall’inizio pensando che il prezzo accattivante nascondesse in realtà qualche trucchetto e altri che all’opposto senza pensarci su hanno subito compiuto lo “switch” di operatore approfittando dell’evidente risparmio, la domanda si è come polarizzata.

Ma di fatto, i trucchetti ci sono davvero o il risparmio è autentico? E come fa Iliad a proporre questi prezzi stracciati?
In realtà la compagnia sta letteralmente conseguendo delle perdite andando in negativo. Più precisamente Benedetto Levi, amministratore delegato della sede italiana, ha affermato che per conseguire profitti i valori dovrebbero essere più che doppi ma l’obiettivo primario in questa fase di lancio è l’aumento della brand awareness, cioè la notorietà del marchio; l’offerta a 5,99€ non durerà per sempre, ma è parte della “strategia di rottura” per entrare nel mercato. Il meccanismo adottato dall’azienda è infatti quello di raggiungere un milione di sottoscrittori per poter poi presentare altre tariffe più alte e remunerative e il breakeven point (ossia la piena copertura dei costi attraverso i ricavi) verrà raggiunto con la gestione del 10% delle sim degli utenti italiani, corrispondente a 10 milioni circa.

L’approdo di Iliad non ha fatto altro che confermare un modus operandi riscontrabile oggi nelle maggiori aziende di successo e senza distinzione di settore, ovvero l’essere disruptive. Bisogna rompere i canoni, andare controcorrente e sbaragliare i rivali per diventare leader e acquisire vantaggio competitivo. Nel settore dei voli low cost ad esempio anche Ryanair è stata da sempre una compagnia promotrice di tale condotta, con promozioni esplosive come voli a 99 centesimi o campagne pubblicitarie che suscitano scalpore e dibattiti.

I pochi operatori che da sempre hanno dominato il mercato della rete mobile si sono comunque subito attivati per mitigare il successo esplosivo di Iliad e a dimostrarlo è il lancio di Ho, l’operatore virtuale di Vodafone nato appositamente come suo diretto concorrente in termini di posizionamento di prezzo.
Riusciranno gli ormai “vecchi leader” a ristabilire la gerarchia di mercato?

 

5. PARTNERSHIP TRA LEGO E IKEA GROUP

          di Arianna Ziveri

Per fare un tavolo ci vuole un… LEGO!

La canzone per bambini tanto conosciuta a breve sarà destinata a subire una modifica? Staremo a vedere. Ai Democratic Design Days ad Almhut, in Svezia, IKEA ha annunciato che darà il via a una collaborazione con LEGO. Le due società nord-europee stanno ufficialmente collaborando. Non è la prima volta che Ikea diventa partner con altri brand, ma è la prima volta che lo diventa con un brand, o meglio, un colosso del gioco. A parlare, in proposito, sono Marcus Engman responsabile del design di IKEA, Fredrika Inger responsabile dell’area commerciale per Children’s IKEA e Lena Dixen vicepresidente senior dello sviluppo prodotto per LEGO.

I tre hanno parlato di quanto sia rilevante il gioco, di quanto i bambini ne capiscano l’importanza e, soprattutto, di quanto via via crescendo gli adulti se ne dimentichino. Allora perché non offrire una nuova opportunità ai “grandi” di casa? – come sostiene Dixen – lo scopo di questa partnership non è solo quello di unire due aziende leader come IKEA e LEGO, ma quello di far riscoprire l’importanza del gioco a grandi e piccini. Come? Offrendo molte più opportunità di giocare a casa tra bambini e genitori unendo l’utile come progettare stanze o parti di esse, al dilettevole: il gioco. D’altronde – aggiunge Fredrika Inger - “Non si è mai troppo grandi per smettere di giocare”. E’ presto per dare una stima temporale sul lancio di una linea di prodotti firmata dai due partners, la risposta dei tre protagonisti è stata: "accadrà presto".

Vieni rispondervi i consumatori? Avremo adulti che riscopriranno il piacere di giocare, coi propri bambini, per gestire i mattoncini di casa? Ai posteri l'ardua sentenza.