2. APPLE IN CADUTA LIBERA: I MOTIVI DEL CROLLO IN BORSA
Tempo lettura: 3 minuti
di Roberto Faraci
Anno dopo anno, il colosso americano di Cupertino ha scalato le classifiche, fatturando miliardi e miliardi di dollari, grazie a prodotti di qualità ma, soprattutto, di tendenza. Cosa è successo negli ultimi mesi? Che qualcosa non andasse per il verso giusto era prevedibile: nascondere i dati sulle vendite dei propri smartphone lascia trapelare che ci sia un calo
vigoroso in atto, è così è stato.
Perché passare da Agosto ad oggi, da un valore di mille miliardi a 683 miliardi non è una cosa di poco conto, ed attorno all’azienda californiana aleggia un’aria di sfiducia e costante preoccupazione. Quali possono essere le ragioni di un crollo tanto brusco quanto improvviso? Analizziamole nel dettaglio.
Tensioni commerciali: Usa e Cina
Apple è stato fortemente influenzato da una delle situazioni maggiormente preoccupanti che caratterizzano il mercato globale: le tensioni commerciali tra Usa e Cina. La Cina, tuttavia, sembra essere uno degli indiziati principali che hanno innescato questa crisi secondo l’opinione dell’amministratore delegato di Apple, Tim Cook. In una nota lettera
rivolta agli investitori, infatti, Cook afferma addirittura che la crisi è giustificata nella sua
totalità dagli ammanchi cinesi sulle linee iPhone, Mac e iPad.
Mantenimento di prezzi elevati
Aumentare il prezzo di un prodotto quando le vendite sono in calo può dare i suoi frutti, ma se il calo non solo continua, ma si intensifica? E’ la domanda che devono farsi i dirigenti di Apple in questi ultimi mesi, perché se aumentare i prezzi degli smartphone all’inizio ha permesso anche di registrare ricavi record, adesso continuare su questa strada può essere
controproducente. Per intenderci, l’iPhone più economico è stato fissato al prezzo di 750 dollari, un grosso azzardo! Se si dovesse andare avanti con questa strategia, chi avrà un grande motivo per preoccuparsi?
Le preoccupazioni degli investitori
Alcuni annunci fatti nell’ultimo periodo, come i tagli alla produzione effettuati da diversi fornitori, e alcuni dati come il basso numero di prodotti consegnati negli ultimi mesi, sono motivo di forte preoccupazione di tutti gli investitori di Apple. Come ho anticipato prima, i dirigenti del colosso americano avevano annunciato che non avrebbero più dichiarato i dati sulle vendite effettuate ogni trimestre, e questa è stata naturalmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e dalla quale si è poi innescata una situazione di sfiducia generale.
Che visione hanno gli investitori nel lungo periodo? Possiamo parlare di una comunità divisa, in quanto vi sono coloro che parlano della fine di Apple, esattamente come successo a Nokia tempo fa, ma ci sono anche coloro che ritengono la guerra commerciale tra Usa e Cina la causa principale di questo crollo e che, di conseguenza, le azioni torneranno a salire non appena la situazione tornerà alla normalità.
La lettera di Tim Cook
Di sicuro l’Ad Tim Cook non si è limitato a guardare e in questa sua lettera, dopo aver illustrato le difficoltà riscontrate, ha cercato di rasserenare gli animi affermando che “non possiamo cambiare le condizioni macroeconomiche ma possiamo intraprendere ed accelerare altre iniziative per migliorare i nostri risultati.” Nel finale, l’amministratore delegato afferma con sicurezza e decisione che “abbiamo alte aspettative perché per Apple possono esserci, noi continueremo a puntare sempre in alto e invito gli investitori a fare lo stesso.” Insomma, Apple è sempre stato uno dei marchi leader del mercato globale, con la sua riconoscibilissima mela morsicata. La domanda a questo punto è solo una: possiamo parlare del “colosso Apple” già al verbo passato, un po' come successo a Nokia, o si tratta solo di una situazione temporanea, destinata a finire? La parola al mercato!
3. L'APPRODO DEL PRIMO POLO D'INNOVAZIONE IN ITALIA TARGATO CRÉDIT AGRICOLE
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di Veronica Amato
Le decisioni d’innovazione sono complesse ma di vitale importanza per la sopravvivenza e lo sviluppo delle imprese. È stato il principio di imprenditorialità a spingere Crédit Agricole, prima banca mutualistica d’Europa, nella ricerca del profitto, alla creazione di un polo d’innovazione “Le Village by CA” capace di unire aziende e start up nei processi innovativi.
Lo slogan di tale progetto è “cooperare per innovare”, e dato che le imprese spesso fanno fatica a trovare partner che capiscono la valenza delle innovazioni tecnologiche, è necessario indirizzare la propria mission culturale e strategica all’open innovation anche in rilevanza del fatto che per innovazione non s’intende solo quella interna all’impresa,ma soprattutto quella esterna al fine di aumentare le capacità d’ascolto del mercato finale.
Infatti, il progetto di Crédit Agricole ha preso forma a Parigi nel 2014 e oggi, è possibile rilevare 24 village che ospitano 600 startup e oltre 400 partner industriali ma anche istituzionali interessati e operanti nel territorio con più di 200 milioni di fondi raccolti.
Il village di Porta Romana a Milano, è il primo in Italia e ha l’obiettivo, come anche afferma Gabriella Scapicchio a cui è stata affidata la divisione aziendale dedicata all’innovazione da CA, di appoggiare l’Italia e le sue imprese ad alto potenziale d’innovazione, sostenendole nel superare gli ostacoli tipici dei processi innovativi come i fattori legati al grado di conoscenza, fattori istituzionali, fattori di costo ed elementi di mercato.
“Le Village by CA” è una struttura di 2700mq racchiusa in un convento del XV secolo, e funge da acceleratore d’idee.
Si tratta di un vero e proprio polo multifunzionale per lavorare in co-working e raggiungere determinati obiettivi di business, di sviluppo nonché per migliorare le performance dell’impresa, sia incrementando la soddisfazione sul posto di lavoro e quindi anche più in generale la produttività, sia accedendo a beni non commerciabili come le conoscenze provenienti dall’esterno o la riduzione dei costi di approvvigionamento.
Pertanto, in un contesto che tende alla Digital Trasformation, e volendo ricordare l’incipit dell’importante evento annuale del Wef a Davos in Svizzera “Stiamo entrando in una quarta rivoluzione industriale plasmata da tecnologie avanzate dove il mondo digitale e quello fisico-biologico si combinano per creare innovazioni a velocità e scala senza pari nella storia umana”,è evidente come Crédit Agricole attraverso “Le Village” coglie la sfida di sperimentare il nuovo approccio di Open Innovation, e potrebbe non essere l’unico, infatti sono in previsione due nuove aperture, una a La Spezia e l’altra a Rimini dove ha acquistato la Cassa di Risparmio.
4. #10YEARSCHALLENGE, L'EVOLUZIONE DELL'IDEA DI PRIVACY
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di Dimitri Mereu
Una nuova tendenza ha investito i social media durante il primo mese del nuovo anno: si parla della #tenyearschallenge, trend di cui chiunque abbia un account su Facebook, Instagram o Twitter è a conoscenza. Tale nuova sfida consiste nel condividere tra la propria lista di contatti una foto che metta in mostra i miglioramenti, nella maggior parte dei casi estetici, o quanto l'invecchiamento abbia poco influito sulla propria fisionomia negli ultimi dieci anni. La challenge è diventata subito virale, con milioni di condivisioni in tutto il mondo da parte di tutti gli utenti, ben felici e frementi di mostrare il loro cambiamento nel decennio 2009-2019.
Come altre tendenze social precedenti si è sviluppata in un secondo momento non solo come efficace strumento di marketing da parecchie aziende, sia multinazionali che aziende locali, ma anche come mezzo per aumentare la sensibilizzazione e la consapevolezza del pubblico su temi sempre più attuali come il cambiamento climatico, la deforestazione e l’inquinamento causato da materiali come la plastica.
Se tale giochino fosse diventato virale nel 2009, agli albori dell'era social, sarebbe stato ritenuto solamente un’innocua e divertente maniera di mostrare i cambiamenti che hanno caratterizzato il nostro aspetto fisico o i traguardi raggiunti per una battaglia per cui abbiamo lottato negli ultimi anni. Ma nel 2019, un anno dopo lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica, il dubbio è quello che una challenge del genere sia solamente un semplice modo per allenare i software di machine learning al riconoscimento facciale, rendendo parecchio più semplice il loro lavoro. A suscitare tale sospetto è stata la scrittrice e giornalista di Wired, Kate O’Neill, la quale con un post su Twitter ha sollevato un polverone, virale quasi quanto la 10yearschallenge stessa.
A questo punto la domanda sorge spontanea: si tratta solamente di una provocazione della giornalista per acquisire visibilità mediatica attaccando un colosso come Facebook oppure ci troviamo veramente davanti alla più grande “violazione” di privacy della storia?
Come molti esperti di Intelligenza Artificiale hanno fatto notare, Facebook non ha di certo bisogno di ulteriori foto per poter creare un sistema di riconoscimento facciale, in quanto è già in possesso di una immensa banca dati che sostiene l'algoritmo utilizzato per il riconoscimento. Tale software dispone però di miliardi di foto disposte in maniera casuale, in quanto la data di caricamento dell'immagine quasi mai corrisponde con la data in cui è stata realizzata, il documento viene condiviso tra tanti dispositivi abbassandone la qualità e molto spesso viene modificato dall'utente stesso causando degli ostacoli ai sistemi di machine learning. In sostanza saremmo stati noi a dare un grosso aiuto alla piattaforma, facendo buona parte del lavoro sporco che avrebbe richiesto tanti mesi di codificazione e calcoli da parte dei server facenti parte dell'algoritmo.
Le opinioni degli esperti si susseguono, molti dei quali sono del parere che Facebook non avesse bisogno di tali dati in quanto facevano già parte delle sue banche. Quale sia la verità che si cela dietro questa challenge nessuno è in grado di stabilirlo, se non per ammissione dell'utilizzo da parte della piattaforma social stessa, la quale però nei giorni scorsi ha negato qualsiasi coinvolgimento, spiegando che questo trend è diventato virale in modo spontaneo.
Ciò che ci rimane della tenyearschallenge è il cambiamento che abbiamo vissuto nell'ultimo anno in tema di protezione della privacy: prima dello scandalo Cambridge Analytica e della recente challenge ognuno viveva il social network come semplice strumento di connessione globale senza secondi fini. Oggi invece l'utente medio è più consapevole dello strumento che sta utilizzando, sa che chi sta dietro il social potrebbe utilizzare ogni post che condivide sia per la propria sicurezza sia per il proprio controllo.
La linea di confine tra sicurezza e controllo è labile ma sembra che la maggior parte sia propensa a sacrificare un pezzo di privacy per una maggiore sicurezza.
Il dibattito è appena iniziato ma nessuno riesce ancora a capire fino a che punto ci potrà portare. Non resta che aspettare la prossima challenge.
5.LA SORPRENDENTE PARTNERSHIP TRA HEARST E TEADS
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di Elena Carnevali
Una delle novità più importanti che ha caratterizzato questi primi giorni del 2019 riguarda la stipulazione di un accordo annuale tra Hearst e Teads. Quali sono i termini e che cosa comporta tale “unione”?
La collaborazione riguarderà inRead e Viewable Display.
Rivolgendoci a coloro che non operano in questo settore, è bene definire la finalità di questi strumenti. L’inRead è un video pubblicitario che si inserisce nel testo di un articolo on line e si attiva quando l’utente fa lo scrolling della pagina, attirando l’attenzione senza interrompere la lettura dell’articolo. Tale formato garantisce un elevato livello di engagement da parte dell’utente, a fronte un livello minimo di invasività ed è stato ideato proprio da Teads nel 2012. La stessa Teads ha poi lanciato la nuova suite di prodotti display, interattivi e viewable, capaci di generare alti tassi di engagement sulle audience grazie a creatività dinamiche, posizionate nel cuore di un contenuto editoriale. Tali strumenti arricchiscono l’offerta inRead, con i formati Scroller, Canvas, Swing, Slideshow e Carousel, che rappresentano le prime soluzioni display viewable by design, capaci, quindi, di garantire viewability agli advertiser in un ambiente brand-safe. In media, gli annunci display di Teads vantano un tasso di viewability dell’80%, rispetto al 50% della media di mercato, secondo il provider MOAT.
In Base all’accordo, Hearst adotterà i formati di Teads cercando al tempo stesso di non stravolgere l’esperienza di navigazione dei propri utenti.
A partire dal 2017 Hearst Italia ha varato una struttura digitale indipendente per i brand del gruppo, fatto che testimonia come la società abbia deciso di sostenere in maniera rilevante la crescita del canale digitale. Hearst Digital segue il modello già adottato negli Stati uniti e raccoglie in una società indipendente tutte le strutture che realizzano contenuti digitali al fine di aumentare la velocità di evoluzione e adattamento ai mutamenti nella fruizione dei media della società contemporanea e rafforzare la capacità di attrarre e sviluppare talenti ed eccellenze nell’area del digital content.
La collaborazione con Teads garantisce agli utenti un’esperienza di qualità sugli smartphone, fornendo contenuti pubblicitari che arricchiscono la navigazione e l’ingaggio; agli inserzionisti offre un contesto di fruizione sicuro e all’altezza delle loro aspettative.
Quale sarà il futuro di tale accordo? L’inizio di un lungo periodo di collaborazione o una partnership limitata a un anno?
NEAM DICEMBRE 2018
Concludiamo con il botto!
Vi presentiamo l'ultima edizione di Neam 2018 da leggere tra un'abbuffata e l'altra.
Siamo pronti a conquistare il nuovo anno e a regalarvi sempre nuove e interessanti notizie.
Questo mese abbiamo scelto per voi:
1. Avete bisogno di nuovi stimoli creativi? Ci pensa Lego.
2. Apple acquisisce Platoon per investire nei talenti musicali
4. Bershka Experience: l'integrazione tra l'online e l'offline
5. Fino a che punto si parlerà di sharing economy?
Buona lettura!
NEAM NOVEMBRE 2018
E' l'ultima domenica di novembre e come ogni fine mese arriva puntualissimo NEAM.
Divano, cioccolata calda, copertina e ... Buona lettura!
Abbiamo scelto per voi:
- La cybermoda oggi è realtà
- Dalla vendita all'affitto di mobili: Ikea e la sharing economy
- Facebook apre i suoi pop-up store
- Da e-commerce a “banca”, la nuova strategia di crescita firmata “Amazon”
- Novità da Google Maps: arrivano le chat
LA CYBERMODA OGGI E’ REALTA’
di Asia Bonaldi
Tempo di lettura: 2 minuti
Si sa, la tecnologia è parte sempre più integrante della nostra vita quotidiana. Quello che sorprende è che la tecnologia stessa, oggi, sia in grado di creare linee di moda basate esclusivamente sui big data. Non ci credete? Continuate a leggere.
L’innovativo progetto lanciato dalla piattaforma online Yoox ha sfruttato l’intelligenza artificiale e un approccio data driven oriented per creare due nuove linee (autunno/inverno e primavera/estate), denominate Lifestyle Essential.
“I capi realizzati sono «matematicamente» creati per soddisfare le esigenze di un e-shopper curioso, appassionato e consapevole”, questo è il commento di Paolo Mascio (presidente di Yoox e The Outnet) al lancio della nuova linea.
Infatti, il software di intelligenza artificiale è stato in grado di riconoscere immagini del web tratte da influencer o magazine online mentre l’approccio basato sui dati ha analizzato dati di vendita del sito, feedback, recensioni, tendenze del momento. Il risultato è una collezione di capi, non solo attuali, ma addirittura senza tempo, che non vanno fuori moda non appena la tendenza del momento tende a scemare, ma che sono destinati a rimanere negli armadi dei clienti per molto, moltissimo tempo.
La collezione autunno/inverno di 8 by Yoox, composta da circa 200 capi, è stata presentata e lanciata online a Milano il 6 novembre. Il logo 8 by Yoox gioca sulla doppia «oo» del nome, che è stata scelta per rappresentare il codice binario, racchiuso da Y e X, ossia i cromosomi maschili e femminili. Fa quindi riferimento a una tecnologia sempre in dialogo con gli esseri umani e la loro sensibilità e talento.
Il connubio tra tecnologia e moda non è nuovo: Zara, Diesel, Ralph Lauren e altri giganti della moda stanno cercando di implementare nuovi approcci basati sui dati e sulla tecnologia che producano un’offerta specifica e personalizzata a ogni singolo consumatore, grazie ai dati che su di lui sono stati raccolti.
Se la tecnologia ha portato a tutto questo, chissà nei prossimi anni che cosa sarà in grado di fare. Non ci resta che rimanere sintonizzati per scoprirlo!
DALLA VENDITA ALL'AFFITTO DI MOBILI: IKEA E LA SHARING ECONOMY
di Giulia Vecchi
Tempo di lettura: 2 minuto
Dopo la proposta di creare veri e propri piccoli negozi all'interno della vita cittadina, Ikea approda con una nuova idea. Già da qualche tempo per la casa svedese non si parla più solo di vendita di mobili. Dopo lo sviluppo del progetto di offerta dell’usato, l’azienda ha ulteriormente deciso di dare la possibilità ai propri clienti di affittare i mobili per un arco di tempo limitato.
Questa volta la scena vede come protagonista la Svizzera come punto di partenza di questo progetto, con l’obiettivo di sviluppare una sharing economy, attività che l’azienda vedrebbe come un mezzo utile per rimanere al passo con i tempi, colpendo per l’appunto un target prettamente giovanile e dinamico.
Dalle parole rilasciate a NZZ am Sonntag da Jesper Brodin, Ceo di Ikea, l’idea infatti sarebbe quella di rivolgersi, oltre che a un pubblico in cerca di risparmio, a un target composto da studenti e lavoratori fuori sede, i quali non hanno una vera e propria necessità di acquisto duraturo nel tempo, data la loro breve permanenza nei rispettivi luoghi di studio e lavoro.
Come riporta anche l'Huffinton Post, secondo Tilman Slembeck, professore di economia all'Università di Scienze Applicate di Zurigo, il fatto che questa possibilità si sia presentata così tardi è: "Una sorpresa. In America il noleggio dei mobili è storia vecchia". In questo modo Ikea coprirebbe una grande fetta di mercato.
Ci sono anche degli svantaggi. Ad illustrarli è Christian Fichter, psicologo di business presso l'Università di Scienze Applicate di Kalaidos. Secondo lo studioso infatti il noleggio di mobili potrebbe essere alla lunga più costoso di quanto non lo sia l'acquisto diretto, soprattutto se l'affitto avviene in brevi periodi.
Al momento non sono state fornite ulteriori informazioni, se non la certezza che questa proposta prenderà piede al più presto ad ampio raggio. Non resta quindi che aspettare e vedere che risvolti avrà questa strategia.
FACEBOOK APRE I SUOI POP-UP STORE
di Alessia Pizzuti
Tempo di lettura: 2 minuti
Dovevamo aspettarci anche questo: Facebook ha deciso di aprire la sua piattaforma digitale ad una realtà più fisica, più terrena lanciando una serie di pop-up store in UK e negli Stati Uniti proprio per questo Natale.
L’idea nasce grazie alla collaborazione con la catena di distribuzione Macy’s che attraverso la formula di vendita temporanea punta su una strategia vincente per dar visibilità ai brand digitali che hanno trovato fortuna su Facebook e Instagram per incrementarne la propensione alla spesa da parte del consumatore. I corner di attività sono facilmente riconoscibili grazie ai display che ricordano tipicamente quelli della pubblicazione dei post sul famoso network, completo di riquadro immagine e pulsante per emulare un acquisto nella vita reale.
Momentaneamente prendono parte a quest’iniziativa marchi d’abbigliamento, cibo, bellezza e altri, destinando il ricavato ad associazioni cui notoriamente fanno fede. Va inoltre specificato che né Facebook e né Macy’s percepiscono guadagno da quest’attività; aziende coinvolte e pmi mantengono i loro introiti invariati.
Sempre più aziende digitali stanno entrando nel mondo della vendita al dettaglio e Facebook è l'ultimo esempio di questa tendenza.
Sono molte le ragioni che stanno alla base di questo progetto.
Innanzitutto, creando un contatto diretto con il negozio tradizionale si garantirebbe una sorta di legame con lo store fisico e il suo abituale consumatore non trascurando le piccole fette di mercato. Potrebbe essere allo stesso modo un’occasione per convincere i rivenditori locali ad investire maggiormente sulle inserzioni del social e conseguentemente nella rete contatti, altresì una strategia per fidelizzare diversi tipi di business.
Sarà per noi inevitabile immaginare che possa aprirsi la possibilità di inaugurare una serie di store fisici tutti blu; veri e propri punti vendita aperti al pubblico con l’inconfondibile firma del social network. Un vero e proprio trampolino di lancio per un business più solido che possa accrescere l’impronta fisica del mercato del dettaglio.
Da e-commerce a “banca”, la nuova strategia di crescita firmata “Amazon”
di Alessio Artista
Tempo di lettura: 2 minuti
Amazon ha ben chiaro che il suo successo dipende anche dai suoi rivenditori, ed è così che nel 2011 nasce Amazon Lending, una piattaforma di erogazione di prestiti alle PMI (piccole e medie imprese) presenti in qualità di rivenditori sulla piattaforma Amazon degli Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone.
Siete una PMI e siete stati scelti dall’algoritmo di Amazon? Ora potrete chiedere il prestito a breve termine (massimo 12 mesi) che avete atteso, e che si tratti di 1000$ o di 750mila, questi saranno accreditati il giorno stesso.
E le garanzie? Le garanzie richieste, in caso di mancato pagamento, sono la congelazione della merce che il venditore detiene nel magazzino Amazon e il blocco della vendita fino al pagamento della rata dovuta.
L'ascesa di Amazon nel settore finanziario sembra solo agli inizi. Infatti, in attesa dell’ingresso in Italia della piattaforma di erogazione di prestiti, Amazon lancia “Amazon Pay”, un servizio di pagamenti digitali che permette di effettuare acquisti online pagando con il proprio account Amazon. Ciò significa che è possibile acquistare beni o servizi da siti esterni ad Amazon senza dover inserire i dati della carta di credito e l’indirizzo di spedizione.
“Amazon Pay” però non si ferma qui. Il gigante del web è già pronto ad inserire il portafoglio digitale come mezzo di pagamento negli store fisici, sfidando così “Apple Pay”.
Come si difenderanno i concorrenti di Amazon?