2. Nike e Amazon si dicono addio?
di Giuseppe Samperi
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Cosa sta succedendo ai colossi del web? Fino ad una decina di anni fa, quasi inesistenti ed oggi invece dominatori indiscussi dei mercati moderni. Tuttavia, qualcosa è in atto. Un movimento controcorrente che porta grandi aziende, multinazionali dagli utili astronomici, ad abbandonare alcune piattaforme leader dei social e del retail. Il primo in assoluto è stato Lush, brand innovativo nei prodotti da cosmesi, handmade e bio, uscito dai social network di Zuckerberg per non essere schiavo dei diktat degli algoritmi e newsfeed. Seguito a ruota da Unicredit, intenzionato a valorizzare al meglio i canali digitali proprietari, per garantire un dialogo di qualità con i propri clienti. Anche Amazon è però entrato in questa spirale, ad aver abbandonato la piattaforma di vendita online più grande al mondo, sono stati recentemente Birkenstock e Nike.
L’annuncio del divorzio da parte del brand sportivo americano tra i più noti al mondo, arriva in un momento che vede l’azienda al centro di una piccola rivoluzione che riguarderà tra le altre cose, il cambio al vertice societario. Mark Parker lascerà infatti il posto di CEO a John Donahoe, cinquantanovenne americano ex presidente e CEO, a sua volta, di E-Bay, all’inizio del 2020. Dunque, un profilo di rilievo per il mondo della moderna vendita al dettaglio.
La partnership tra Nike e Amazon venne sottoscritta nel 2017, come progetto pilota, e prevedeva che soltanto un limitato numero di articoli sportivi fosse commercializzato. L’obiettivo era duplice: da un lato aumentare le vendite sul canale online, come conseguenza della sempre più pressante concorrenza dei rivali storici: Adidas e Under Armour; dall’altro ridurre il commercio parallelo di prodotti contraffatti e non autorizzati.
Secondo l’accordo, Amazon avrebbe dovuto tutelare maggiormente il brand, imponendo controlli più stringenti e maggiori restrizioni ai suoi rivenditori intermediari. Evidentemente insoddisfatta dai provvedimenti presi dall’azienda di Jeff Bezos, Nike ha così deciso di prenderne le distanze. Tuttavia, i suoi prodotti resteranno comunque disponibili sul marketplace: non sarà più la società a venderli direttamente, ma a farlo saranno altri intermediari.
“Nell’ambito della focalizzazione di Nike sull’innalzamento dell’esperienza dei consumatori attraverso relazioni più dirette e personali, abbiamo preso la decisione di chiudere il nostro attuale progetto pilota con Amazon. Continueremo a investire in partnership forti e distintive per Nike con altri rivenditori e piattaforme per servire alla perfezione i nostri consumatori a livello globale” – si legge in una nota diramata dalla stessa società.
La tutela dell’immagine di marca, il rapporto fiduciario con la propria clientela, la scelta di focalizzazione su rivenditori più sicuri e una nuova strategia retail sono le motivazioni principali alla base della scelta. Impossibile dare torto a Nike guardando i dati: il canale diretto di vendita ad oggi si avvicina quasi ad un terzo del fatturato annuale che in dollari è pari a 11,8 miliardi, per il 2018.
Ciò nonostante, continueranno ad essere validi i contratti che prevedono da parte di Nike, l’appoggio ad Amazon Web Services, azienda di proprietà del gruppo Amazon che fornisce servizi di cloud computing (servizi di calcolo come server, risorse di archiviazione, database, software, analisi e intelligence per offrire risorse flessibili ed economie di scala), su un’omonima piattaforma on demand. Per Nike tali servizi rappresentano una fonte indispensabile di dati, che una volta elaborati, offrono spunti per la creazione di nuovi prodotti sempre più innovativi e tecnologici, che permettono di soddisfare i desideri di clienti sempre più esigenti ed interconnessi.
Che lezione possiamo trarre, di conseguenza, da tutta questa vicenda? Essere presenti su siti internet del calibro di Amazon è oggi imprescindibile per qualsiasi azienda che produca beni di largo consumo; tuttavia mettere a rischio la fiducia dei propri clienti, per presidiare meglio il proprio mercato di riferimento a valle, può rivelarsi dannoso per una strategia di lungo periodo. Appare necessario trovare il proprio, giusto, trade-off.
Non si può prescindere da tali riflessioni. Sicuramente la dimensione aziendale e la notorietà di marca hanno una rilevanza preponderante: se Nike non fosse stato un brand così forte e radicato nella mente dei clienti, avrebbe potuto prendere una decisione così disruptive?
Ai posteri l’ardua sentenza!