4. #10YEARSCHALLENGE, L’EVOLUZIONE DELL’IDEA DI PRIVACY

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di Dimitri Mereu

Una nuova tendenza ha investito i social media durante il primo mese del nuovo anno: si parla della #tenyearschallenge, trend di cui chiunque abbia un account su Facebook, Instagram o Twitter è a conoscenza. Tale nuova sfida consiste nel condividere tra la propria lista di contatti una foto che metta in mostra i miglioramenti, nella maggior parte dei casi estetici, o quanto l’invecchiamento abbia poco influito sulla propria fisionomia negli ultimi dieci anni. La challenge è diventata subito virale, con milioni di condivisioni in tutto il mondo da parte di tutti gli utenti, ben felici e frementi di mostrare il loro cambiamento nel decennio 2009-2019.

Come altre tendenze social precedenti si è sviluppata in un secondo momento non solo come efficace strumento di marketing da parecchie aziende, sia multinazionali che aziende locali, ma anche come mezzo per aumentare la sensibilizzazione e la consapevolezza del pubblico su temi sempre più attuali come il cambiamento climatico, la deforestazione e l’inquinamento causato da materiali come la plastica.

Se tale giochino fosse diventato virale nel 2009, agli albori dell’era social, sarebbe stato ritenuto solamente un’innocua e divertente maniera di mostrare i cambiamenti che hanno caratterizzato il nostro aspetto fisico o i traguardi raggiunti per una battaglia per cui abbiamo lottato negli ultimi anni. Ma nel 2019, un anno dopo lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica, il dubbio è quello che una challenge del genere sia solamente un semplice modo per allenare i software di machine learning al riconoscimento facciale, rendendo parecchio più semplice il loro lavoro. A suscitare tale sospetto è stata la scrittrice e giornalista di Wired, Kate O’Neill, la quale con un post su Twitter ha sollevato un polverone, virale quasi quanto la 10yearschallenge stessa.

A questo punto la domanda sorge spontanea: si tratta solamente di una provocazione della giornalista per acquisire visibilità mediatica attaccando un colosso come Facebook oppure ci troviamo veramente davanti alla più grande “violazione” di privacy della storia?

 

Come molti esperti di Intelligenza Artificiale hanno fatto notare, Facebook non ha di certo bisogno di ulteriori foto per poter creare un sistema di riconoscimento facciale, in quanto è già in possesso di una immensa banca dati che sostiene l’algoritmo utilizzato per il riconoscimento. Tale software dispone però di miliardi di foto disposte in maniera casuale, in quanto la data di caricamento dell’immagine quasi mai corrisponde con la data in cui è stata realizzata, il documento viene condiviso tra tanti dispositivi abbassandone la qualità e molto spesso viene modificato dall’utente stesso causando degli ostacoli ai sistemi di machine learning. In sostanza saremmo stati noi a dare un grosso aiuto alla piattaforma, facendo buona parte del lavoro sporco che avrebbe richiesto tanti mesi di codificazione e calcoli da parte dei server facenti parte dell’algoritmo.

Le opinioni degli esperti si susseguono, molti dei quali sono del parere che Facebook non avesse bisogno di tali dati in quanto facevano già parte delle sue banche. Quale sia la verità che si cela dietro questa challenge nessuno è in grado di stabilirlo, se non per ammissione dell’utilizzo da parte della piattaforma social stessa, la quale però nei giorni scorsi ha negato qualsiasi coinvolgimento, spiegando che questo trend è diventato virale in modo spontaneo.

Ciò che ci rimane della tenyearschallenge è il cambiamento che abbiamo vissuto nell’ultimo anno in tema di protezione della privacy: prima dello scandalo Cambridge Analytica e della recente challenge ognuno viveva il social network come semplice strumento di connessione globale senza secondi fini. Oggi invece l’utente medio è più consapevole dello strumento che sta utilizzando, sa che chi sta dietro il social potrebbe utilizzare ogni post che condivide sia per la propria sicurezza sia per il proprio controllo.

La linea di confine tra sicurezza e controllo è labile ma sembra che la maggior parte sia propensa a sacrificare un pezzo di privacy per una maggiore sicurezza.

Il dibattito è appena iniziato ma nessuno riesce ancora a capire fino a che punto ci potrà portare. Non resta che aspettare la prossima challenge.